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Rubrica di Emanuela Medi
 

L’Italia sempre più patrimonio Unesco

E’ arrivata  in una afosa domenica d’estate, precisamente il 7 Luglio, la felice notizia per altro ampiamente riportata dai media, che le colline del Prosecco “di Conegliano e Valdobbiadene” sono Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

E’ il 55mo sito italiano iscritto nella lista-ha detto in una nota il ministro degli Esteri Enzo Moavero – a riconoscimento del valore universale di un paesaggio unico dal punto di vista culturale e agricolo , diventato tale anche  per le notevoli capacità di coloro che operano in un contesto di straordinaria bellezza naturale” . E’ proprio il concetto di paesaggio culturale modellato dalla interazione uomo-ambiente il  motivo che caratterizza l’assegnazione. La proclamazione è avvenuta a Baku in (Azerbaijian) in occasione della 43° sessione del Comitato mondiale Unesco, con la delibera unanime dei 21 Stati membri del Comitato.

Tante le dichiarazioni tutte entusiaste e giustamente per un prodotto, il Prosecco, il vino  Made in Italy maggiormente esportato con un aumento record del 21% delle vendite in valore nel 2019. “Sono certamente le bollicine italiane più popolari, afferma il presidente della Coldiretti, Prandini con 464 milioni di bottiglie DOC vendute ( + 21% sul 2017) , prodotte su oltre 24mila ettari di vigneti tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. Di queste bottiglie 2 su 3 sono vendute all’estero in particolare in Gran Bretagna che è il paese maggior consumatore”.

Ricordiamo come le colline di Conegliano e Valdobbiadene rappresentano la realtà del prosecco italiano caratterizzate da trenta chilometri di versanti molto ripidi ricoperti di vigneti,  su un territorio emerso dal mare  circa 250 milioni di anni fa, per la maggior parte collocati sulle famose” rive” (come vengono chiamate in dialetto le salite) tanto da poter definire , soprattutto un tempo, una viticoltura eroica per il lavoro molto faticoso dei viticoltori.  Sempre in questa zona negli anni 60 è nata la prima strada della Penisola dedicata al vino.

Un tempo Prosecco era il nome dell’uva da cui si otteneva questo spumante: poichè il nome del vitigno può essere indicato in etichetta indipendentemente dal luogo di produzione, in molti paesi si iniziò a produrre spumanti con la dicitura “Prosecco. Per evitare che questo nome diventasse di tutto e di più l’allora Ministero delle Politiche Agricole  estese l’ara di produzione fino al comune di Prosecco vicino a Trieste e decise il cambiamento del none dell’uva in Glera.. Il prosecco diventa una indicazione geografica non replicabile un etichetta al di fuori dell’areale  produttivo.

Prosecco o Spumante: forse è bene chiarirsi le idee. Da un punto di vista tecnico, il prosecco è un vino bianco DOC o DOCG per quelli di Montello, e dei Colli Asolani o il prosecco di  Conegliano-Valdobbiadene. Una categoria questa  di vini alla cui apertura fuoriesce la spuma causata da anidride carbonica prodotta durante la fermentazione e quindi non aggiunta. Questo spumante è prodotto con metodo Martinotti-Charmat a differenza di altri spumanti il cui metodo è quello definito classico, detto anche champenoise.  Dry, extra dry, brut, extra brut termini che indicano la dolcezza del prodotto: la differenza tra spumante e prosecco è che per i primi si possono utilizzare qualsiasi vitigno e essere prodotti in qualunque zona del paese, il prosecco  invece che è una DOC o una DOCG, può essere prodotto solo nelle aree autorizzate (Veneto, Friuli Venezia Giulia) e dai vitigni Glera, Verdiso, pinot bianco, grigio o nero e solo con metodo Charmat. Questo metodo prevede che la seconda fermentazione avvenga in vasche d’acciaio inox e non legno.

Emanuela Medi, sommelier

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