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Rubrica di Emanuela Medi

Al tempo del monarca illuminato Carlo di Borbone nel Regno di Napoli avvenne la fortuita e straordinaria scoperta delle antiche città vesuviane, a seguito di alcuni scavi per i lavori di un pozzo da parte di alcuni contadini della zona. E cominciarono così a venir fuori dalle cosiddette ‘città morte’ -che erano state sepolte e in parte carbonizzate come i neri tizzoni ritrovati ad Ercolano- i celebri rotoli ‘manuscripti’ che diedero il nome alla villa detta appunto dei Papiri, e, insieme a tanti reperti, i calchi di Pompei che tanta curiosità hanno destato e rinnovato interesse continuano a suscitare in tutto il mondo. 

A proposito dei calchi, la tecnica adoperata dall’archeologo Giuseppe Fiorelli, incaricato dal re Vittorio Emanuele II nel 1860, era di riempire col gesso liquido le cavità della cenere indurita a seguito del deperimento e della scomparsa del corpo, creando dei calchi bianchi che hanno ‘ingessato’ nel tempo il vano tentativo di fuga degli antichi abitanti. Questo esperimento, unico al mondo, di riportare in vita, seppur in maniera inanimata, le sembianze degli abitanti dell’antica Pompei, sembra risuscitare anche la sofferenza di quelle persone che animavano un tempo  i celebri gessi, immortalando l’estremo respiro degli sventurati nell’istante in cui varcavano la soglia dell’Ade.

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Alla Biblioteca Nazionale di Napoli sono conservati i preziosi manoscritti della villa dei papiri di Ercolano, dove fu ritrovata anche “la più grande raccolta di sculture greche e romane mai scoperte in un singolo contesto”, come ha sottolineato la studiosa americana Carol Mattusch nel suo libro sulle sculture bronzee e marmoree della “Villa dei Papiri at Herculaneum Life and Afterlife of a Sculpture Collection”, edito dal Getty Museum, California. Fondato dal magnate americano Paul Getty, il Museo Getty, che divenne alla sua morte (1976) il più ricco e sovvenzionato al mondo, ospita, come si sa, preziose collezioni sia di opere d’arte moderna -come Leonardo o Van Gogh- sia del mondo antico greco e romano. 

La vera attrazione del Getty Center Californiano è senza dubbio la Getty Villa, magnifico esempio dell’interesse e dell’entusiasmo del ‘Nuovo Mondo’ per ‘l’Antico Mondo’. Il miliardario petroliere Paul Getty, coniugando i sui interessi culturali al servizio di una filantropica humanitas di oraziana memoria all’insegna del «Graecia capta ferum victorem cepit», ricostruì interamente la villa dei Papiri di Ercolano in terra Californiana, seguendo scrupolosamente il modello settecentesco tracciato dall’ingegnere svizzero Karl Weber. 


Quest’ultimo, autore della celebre omonima mappa della Villa dei Papiri, nota fino ad allora anche come Villa dei Pisoni, dal 1750 al 1764 lavorò come direttore degli scavi archeologici durante la spedizione borbonica capitanata dal militare spagnolo Roque Joaquín de Alcubierre, i cui metodi archeologici ‘eterodossi’ scatenarono le critiche sarcastiche da parte del ‘profeta e fondatore della moderna archeologia’, come è stato definito Johann Winckelmann. L’autore di “Geschichte der Kunst des Alterthums” (Storia dell’arte nell’antichità), con tagliente sarcasmo, disse di Alcubierre “si intende di archeologia come la luna dei gamberi”. 

Sappiamo che il capitano borbonico incappò in alcuni errori, come quando scambiò la scoperta di Pompei, immediatamente riseppellita, con la città di Stabia o come quando sotto la sua direzione, vi fu il maldestro tentativo di srotolare i papiri che causò la distruzione di numerosi rotoli. Il militare spagnolo era stato inviato sul luogo, per volere di Carlo di Borbone, speranzoso soprattutto di trovare antichi tesori per arricchire la Collezione Borbonica che sarebbe poi stata inaugura nel 1758 Herculanense Museum di Portici. Gli scavi continuarono ed ebbero anche un importante impulso quando il  ritrovamento del teatro accese un grande entusiasmo tra intellettuali e nobili di tutta Europa, proprio nell’epoca del Gran Tour, quando Goethe affermava che non era mai esistita al mondo una catastrofe che avesse portato tanta gioia all’umanità come quella di Ercolano e Pompei.

 Anche il poeta Friedrich Schiller mostrò il suo irrefrenabile entusiasmo quando scriveva nei suoi appassionati versi: “Che meraviglia è mai questa? / […] c’è vita sotto la terra? / Una razza ancora ignota si nasconde sotto la lava?/ Coloro che scappavano sono forse ritornati?/ Venite a vedere i Greci e Romani! L’antica città è ritrovata!/ La città di Ercole si è rialzata!”. 

Gli eccezionali ritrovamenti anche delle ‘villae rusticae’ della città di Stabia, ‘Ager Stabianus’, hanno riscoperto una cinquantina di antiche aziende agricole dove veniva prodotto il vino, con appositi frantoi per pressare le olive e dove venivano trebbiati i cereali. Gli infelici cittadini della ‘Campania Felix’ conobbero dunque lo stesso tragico destino nel ’79 d.C. ma la loro lenta agonia assunse forme diverse. Mentre Pompei fu sommersa dalle colate piroclastiche di cenere, gas e lapilli, ripiombati sulla terra dopo che i gas magmatici erano risaliti per una decina e forse più di chilometri, gli abitanti di Ercolano perirono per il bombardamento di materiale più fine come cenere, polvere incandescente e vapore acqueo. Alcuni furono asfissiati dai gas tossici come nel celebre caso di Plinio, accorso da Miseno su una ‘galea’. Plinio il giovane, all’epoca appena diciassettenne, quando narra la morte dello zio la descrive come un evento non violento, perché dice che quando il corpo dell’enciclopedico scienziato fu ritrovato tre giorni dopo, pareva soltanto tranquillamente addormentato. 

Una città ancora da scoprire, e che potrebbe in futuro riservare clamorosi ritrovamenti, è l’antica Oplontis (Torre Annunziata), le cui ville, rinvenute solo parzialmente, si possono ricondurre alla lussuosa villa ‘A’ di Poppea Sabina, seconda moglie di Nerone -il cui nome è scritto su alcuni cocci -, e alla ‘azienda’ di Crasso Terzio, nota agli studiosi come villa ‘B’, dove veniva curata la produzione di derrate alimentari e prodotti agricoli come vino e olio. 

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