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Rubrica di Emanuela Medi
 

Meno botti e più vigne per un turismo di prossimità

Donatella Cinelli Colombini presidente delle Donne del Vino non si scoraggia certo a fronte delle difficoltà e delle non poche linee guida in gran parte restrittive  per il rilancio del turismo  enologico. In una intervista rilasciata alle Guide di Repubblica . che riportiamo, la Presidente  afferma “In Italia prima dell’emergenza, esisteva un export invisibile per il vino, quello dei turisti. Parliamo di 59 milioni di arrivi sui quali per ora non possiamo fare più affidamento. 

Occorre dunque puntare sul turismo interno, sul turismo di prossimità, ma bisogna farlo a precise condizioni”. E non fa sconti a nessuno questa donna forte e determinata  nata in una famiglia di produttori di Brunello di Montalcino , laureata in Storia dell’arte medioevale, nel 1993 fonda il “Movimento del turismo del vino” e “Cantine aperte”. Nel 1998 ha creato la sua azienda composta dalla Fattoria Del Colle a Trequanda e dal Casato Prime Donne, proprio a Montalcino. Dal 2016 è Presidente dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino , e insegna turismo del vino nei Master post laurea di tre università.

Donatella Cinelli Colombini

“Partiamo dalle premesse: l’idea di stessa di visita in cantina deve cambiare. Più vigne, meno botti. E questo per diversi motivi. Innanzitutto portare i turisti come si era soliti fare nei locali di produzione, magari sotterranei, mette in pericolo sia loro che i dipendenti; in secondo luogo, sanificare gli spazi con prodotti a base di cloro metterebbe in pericolo i vini stessi, le loro proprietà. Infine, l’alto costo di queste stesse sanificazioni in alcuni ambienti particolari, dove ci sono anche sistemi di areazione non compatibili con la prevenzione del contagio. E dunque, cosa fare? Puntare tutto sugli spazi aperti. Riorganizzare giorni e orari, ricevere visite soprattutto nei weekend e all’ora di pranzo, rigorosamente su appuntamento, sfruttando i panorami, la sostenibilità ambientale, il bello che circonda l’esperienza”.

Un approccio che Cinelli Colombini assicura essere “supportato da studi che dimostrano come l’assaggio di un vino in un luogo aperto, salutare e gradevole fa percepire il vino stesso più buono. Basti pensare per il 51% delle cellule del nostro cervello sono deputate alla vista, e solo l’1% al gusto, per capire quanto quello che si vede influenzi quello che si sente. E su questo l’Italia ha una forza unica, perché le produzioni vinicole sono sparse su tutto il territorio nazionale e occupano aree meravigliose. Tutto questo può avere un potere rigenerante per chi è stato chiuso in casa per settimane, è un po’ quello che gli psicologi chiamano terapia del paesaggio”.

Ma c’è un ma”. Serve – continua Cinelli Colombini – un’alleanza tra i produttori e l’ente pubblico, che deve fare uno sforzo di promozione ad ampio raggio. Ognuno deve giocare il proprio ruolo in una partita che a queste condizioni si può anche vincere. Ma deve essere chiaro che non si vince da soli. In questo senso in Toscana si è fatta la scelta giusta, quella di portare il turismo sotto un unico cervello, senza separare il mondo del vino da quello che ruota intorno a musei, borghi e città d’arte. Il turismo è un sistema integrato” .

Alcuni dati per capire quale sia la portata della sfida: “Si stimano circa 2 miliardi di perdite per tutto il movimento, e questo perché il mondo del vino è stato colpito su più fronti, dai ristoranti dove viaggiavano i vini di lusso alle presenze turistiche, fino alla filiera e alla manodopera sulla quale si basano i territori. Ad esempio Montalcino basava il 25% del Pil sul turismo, con il 33% degli occupati.


Nel Chianti Classico l’82% delle presenze turistiche era di stranieri. Ed è importante capire e ricordare che il primo attrattore turistico verso l’Italia non sono i musei e i luoghi della cultura (lo dico con rammarico anche vista la mia formazione universitaria), ma l’enogastronomia, e su quello va puntato anche il turismo interno, dai piatti tipici ai vini con denominazione”.

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