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Rubrica di Emanuela Medi
 

Spaghetti a tavola tra teatro, cinema e canzoni

Che gli spaghetti siano nati a Napoli, o, come molti sostengono in Cina, è comunque certo che sia il teatro, sia il cinema, sia le canzoni italiane li hanno diffusi per il mondo, è proprio il caso di dirlo, in tutte le salse.

La scena più famosa, dove gli spaghetti hanno, per così dire, conquistato il primo posto, è quella del celebre film Miseria e nobiltà, con Totò e Sophia Loren con la regia di Mario Mattioli del 1954, il film ispirato alla omonima commedia rappresentata a teatro la prima volta da Edoardo Scarpetta nel 1888, il padre, come è noto, di Eduardo De Filippo. La scena, voluta da Totò, diventata subito un classico, mostrava i protagonisti, che, sorpresi a mangiare con le mani un piatto di spaghetti -al modo antico di Pulcinella, icona della fame e di tutti gli affamati cronici napoletani-,  mimano un balletto improvvisato nascondendo gli spaghetti nelle tasche e brandendoli con gesti graziosi come stelle filanti, per fingere una sazietà di fatto mai provata. E questa volta la tavola, invece che essere apparecchiata, viene calpestata come una improvvisata pedana da ballo.

Stessa fame, ma per spaghetti che non sono che lacci di scarpe, vediamo nel famoso film di Charlie Chaplin La Febbre dell’Oro, uscito nel 1925. Lacci, in questo caso, che, serviti come un cibo, dando l’illusione del mangiare, in un certo qual modo, sono davvero chiamati a soddisfare la fame, perché il rito cerca, come il sogno, di soddisfare il desiderio

Laddove la tavola apparecchiata riconquista invece il suo vero posto da protagonista, mostrando anche quella sua antica e riconosciuta dote di saper riconciliare amicizie e parentele, è in alcune scene del Cinema degli anni ’50, il cinema, diciamo così postbellico, che di quella fame che aveva caratterizzato gli anni della guerra conservava ancora tutti i desideri “culinari”. 

Celebre, in questo senso, la scena di Guardie e ladri (1951), il film diretto da Mario Monicelli e Steno con Aldo Fabrizi ( la guardia) e Totò (il ladro) che, dopo essersi rincorsi in una per noi irriconoscibile e deserta zona di San Pietro, tra campagne e piccoli casolari, approdano nella casa di Totò –all’angolo tra l’attuale via Gregorio VII e via dell’Argilla. E così la tavola che accoglierà le due rispettive famiglie, avrà al suo centro, a sanzionarne l’amicizia, la zuppiera con gli spaghetti della pace.

E se dalle zuppiere degli anni ‘50 vengono fuori piatti certamente adatti a soddisfare giovani e meno giovani, il vero primato del piatto traboccante spetta ad un altro film di quell’epoca: Un Americano a Roma di Stefano Vanzina (1954), dove Alberto Sordi, altro eroe dello spaghetto, in una memorabile scena riesce ad avvolgere un intero grande piatto di spaghetti con una sola forchettata.

Naturalmente come dimenticare anche l’uso metaforico degli spaghetti, che, proprio perché simbolo di una certa Italia che si avvicinava ai miti americani con piglio tutto nostrano, sono alla base della corrente cinematografica detta “Spaghetti western”, facendo riferimento a registi come Sergio Leone che hanno riscritto “all’italiana” il mondo  di indiani e cowboy.

Notizie, anche se non immagini, di piatti di spaghetti invece serviti in un pasto leggero per  soddisfare un appetito reso modesto dalla fine di un amore perduto e lontano, ce le dà una canzone del povero Fred Bongusto, che -è notizia di questi giorni- ci ha lasciato, sommessamente, come ha sempre vissuto e cantato. La canzone si mostra chiaramente nata in un’epoca (1967) in cui la fame sofferta dal popolo italiano era davvero lontana. Soprattutto era lontana dalle atmosfere  esotiche evocate dalle dolci melodie di Fred Bongusto che cantava “Spaghetti, pollo, insalatina e una tazzina di caffè…”.

Ma il piatto più piccolo di spaghetti che sia mai stato proposto, è un piatto di questi nostri anni sazi, pieni di preoccupazioni vegetariane, e di diete in cui, se un piatto di spaghetti si deve pubblicizzare, bisogna stare attenti a mostrarlo piccolo e leggero. Ed ecco uno dei nostri più famosi chef, Antonino Cannavacciuolo, da buon napoletano e, come si dice -è proprio il caso- da “buona forchetta”, ci invita a mangiare un piatto di spaghetti di una notissima marca italiana, ma “il piatto”, pur se artisticamente perfetto e decorato, è davvero soltanto tutto in una sola forchettata

Una forchettata, ben si intende, assai meno abile ad avvolgere spaghetti del nostro antico eroe dello spaghetto Alberto Sordi.

Gea Palumbo, Università di Roma Tre

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Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.