Nel territorio intorno al superbo monte, che la gente del posto chiama “a Muntagna” si è sempre allevata la vite. Già 2000 anni fa nella sua “Naturalis historia” Plinio il Vecchio citava un vitigno a bacca rossa coltivato alle pendici del Vesuvio, il Piedirosso, detto anche Per’ e Palummo perché al momento della maturazione il rachide e il pedicello diventano rossi assomigliando alla zampetta del piccione.
Vitigno autoctono campano, secondo per estensioni vitate solo all’Aglianico, è presente in regione da tempo immemorabile. Intorno al Vesuvio, sui suoli vulcanici, ha trovato il suo terroir naturale; viene impiantato su piede franco generalmente con sistema aguyot.
Insieme ad altri vitigni –Aglianico, Sciascinoso, Coda di volpe, Verdeca, Falanghina, Greco– forma la DOP (Denominazione di Origine Protetta) del Vesuvio, estesa per 170 ettari in quindici comuni vesuviani. Nella DOP Vesuvio Rosso è vinificato in purezza, o in assemblaggio con lo Sciascinoso e l’Aglianico con i quali dà origine alla più famosa Lacrima Christi.
Quest’ultimo vino, spesso citato tra i migliori d’Italia dai viaggiatori stranieri, ha un nome che molti hanno tentato inutilmente di spiegare con leggende del tutto fantastiche. Una delle strade storicamente più affidabili da percorrere per tentare, invece, di comprendere dove e quando sia stato così denominato, è quella che ne collega l’origine alla vigna di un conventoche sorgeva sulle pendici del Vesuvio. Probabilmente, infatti, solo da un ambiente monastico poteva sortire un nome, da un lato evocatore di un gusto per esprimerne la bontà del quale si dovesse trascendere il mondo umano; da un altro che avesse la forza di imporre questo nome con l’autorevolezza di chi ben lo conosce perché lo produce.
Il Piedirosso è un vino che si predispone bene all’invecchiamento (fino a 3-4 anni) ma può essere bevuto anche giovane. Ha un colore che va dal rosso al rubino rosato, un gradevole odore vinoso e un sapore secco armonico, con una gradazione di 10,5°. Si accompagna bene con piatti a base di carne e selvaggina, servito ad una temperatura di 16°-18° C.
Il Piedirosso diffuso in tutta la Regione è uno dei vitigni autoctoni più rappresentativi. Ha origini antiche, anche se non è provata l’ipotesi che la Palombina nera (antico nome di questo vitigno) potesse discendere dalla Columbina, citata già da Plinio il Vecchio.
La coltivazione della vite del Piedirosso è estesa in tutta la Campania. Moltissime sono le denominazioni che vi si trovano. In molte denominazioni, soprattutto in provincia di Napoli, ha un ruolo fondamentale, come nelle Ischia DOP, Campi Flegrei DOP, Capri DOP, Vesuvio DOP e Penisola sorrentina DOP.
È un vitigno molto sensibile al territorio, con grosse differenze date dai fattori climatici e dalla natura dei terreni su cui viene coltivato.
I vini prodotti possono quindi variare moltissimo da territorio a territorio. Ne è la prova la quantità di prodotti realizzati con questo vitigno in Campania: oltre i tanti già ricordati sono diffusi anche il Campi Flegrei Piedirosso DOP, l’Ischia Piedirosso DOP, il Costa d’Amalfi rosso DOP, il celebre Falerno del Massico rosso DOP, il classico Vesuvio rosso DOP, la citatissima Lacrima Christi rosso del Vesuvio DOP.
Per finire queste brevi note sui vini vesuviani, vorrei ricordare lo scrittore Curzio Malaparte che visse a Napolidalla fine del 1943 al marzo 1946 e dunque fu testimonedell’ultima eruzione del Vesuvio.Egli, con lo stesso linguaggio aspro e drammatico con cui descrive la disperazione del popolo napoletano, invita gli amici a bereil“sacro antico vino” del Vesuvio che ricorda,in una inscindibile unione, “i “soavissimi aromidi erbe selvatiche … il colore misterioso del fuoco infernale, il sapore della lava, dei lapilli e della cenere che seppellirono Ercolano e Pompei”;Curzio Malaparte,La pelle, 1949”.
Pietro Di Fiore