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Rubrica di Emanuela Medi
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Forse non è stato  l’accordo sperato, ma il mercato dell’Unione Europea non esce troppo malconcio dal patto siglato tra Ursula Von der Leyen e Boris Johnson. Un accordo che  non prevede dazi o quote a partire  da quelle dell’agroalimentare italiano che in Inghilterra ha il quarto mercato per un valore complessivo di 3,4  miliardi di euro. Sufficientemente soddisfatti molte esponenti politici e di  partire dalla Ministra della Politiche Agricole, Teresa Bellanova che dice. “Ho appreso con soddisfazione del raggiungimento di un’intesa sui futuri rapporti commerciali tra la Ue e il Regno Unito. Confidiamo sia un buon viatico per il nostro export in un momento già molto complesso. L’Italia - commenta la Bellanova - potrà continuare ad esportare prodotti agroalimentari senza dazi e senza quote e questo è un risultato importantissimo. È poi assicurata la prosecuzione della massima tutela alle indicazioni geografiche esistenti al 31 dicembre 2020, come previsto dall’accordo di recesso, e ci ripromettiamo di lavorare con i Paesi like-minded affinché adeguata protezione sia data anche alle future Indicazioni Geografiche registrate dopo il definitivo abbandono del Regno Unito dall’Ue”. Soddisfatte anche le organizzazioni di settore come Cia-agricoltori che sollecita una stretta governance sull’accordo per evitare danni ai prodotti maggiormente esportati in UK

Come spesso accade, anzi spessissimo negli ultimi tempi a parte il Recovery Fund, l’Italia è spettatrice o non parte in causa o decisamente fuori tempo massimo o alternativa non presa in considerazione in diversi tavoli di lavoro e di finanziamenti in Europa sia a 28 che 27 membri, men che meno nel ristretto gruppo di Area Euro. E’ il caso della Brexit, ovvero della stipula dell’accordo di “divorzio” fra la UE e l’UK del conservatore Boris Johnson. Tutto sembrava fatto, tutti i tasselli sembravano andati al loro posto, se non che una frangia conservatore inglese molto legata ai sindacati e lobbies di alcuni settori (vedi la pesca) sta tenendo tutto in sospeso. Un aspetto economico che vale forse l’1% del Pil inglese e il 2% del Pil totale dei paesi del nord Europa (Francia, Irlanda in primis) e poi la Spagna per l’oceano Atlantico, sta mettendo in bilico settori e comparti del commercio e delle dogane ben più significativi che già erano stati definiti. Non parlo del turismo o degli studenti italiani o degli italiani impiegati a Londra, ma parlo del comparto vino e cibo che – per la sola Italia – in tutto il Regno Unito (Brexit) vale 3,5 mld/euro

A sei mesi dalla data ufficiale del divorzio del Regno Unito dall’Unione Europea (29 marzo 2019) e ancora in mancanza di un accordo sulle modalità di uscita, al III Forum Agrifood Monitor di Nomisma e Crif tenutosi recentemente a Milano,, si è fatto il punto sul ruolo che questo mercato detiene per il nostro sistema agroalimentare e sui rischi collegati ai potenziali effetti della Brexit.