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Rubrica di Emanuela Medi
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Una buona notizia per il vino italiano. Il Regno Unito ha deciso di semplificare gli oneri burocratici che gravano sull’importazione di vino, che rappresenta un giro di affari di oltre 4 miliardi di euro l’anno, di cui circa la metà di vino in arrivo dagli Stati membri della Ue. Con la decisione annunciata ieri dal governo britannico a partire dal 2022 viene soppresso l’obbligo di presentazione del certificato VI-1, per i prodotti in arrivo dai Paesi terzi, per il cui rilascio, adesso, è necessario lo svolgimento di complesse analisi di laboratorio.. Una bella notizia, per il vino italiano, visto che, il mercato britannico vale 800 milioni rappresentando il terzo mercato di sbocco , per 2,6 milioni di ettolitri, ed è  il 12% sul totale delle esportazioni La filiera risparmierebbe cos’è ben 140milioni di euro l’anno. “Saranno avvantaggiati in modo diretto i consumatori e gli operatori britannici”, sottolinea il presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti.  “La semplificazione amministrativa facilita anche l’attività delle nostre imprese che esportano sul mercato britannico e la possibile riduzione del prezzo finale può far salire ulteriormente il consumo dei vini italiani. Siamo tra i primi Paesi fornitori e merita segnalare che l’export di vini della Ue sembra resistere anche alle conseguenze della Brexit”,

Per cinque anni- tanto prevede l’accordo- si può stare tranquilli fino alla definitiva chiusura della disputa. Era evidente il plauso del mondo del vino e dell’agroalimentare italiano che tutto sommato si sente rassicurato specie dopo la bella e avvincente manifestazione di OperaWine di giorni scorsi  Ma cosa è successo in questi tormentati 15 mesi? Doveroso riportare la cronistoria di un articolo di Gambero Rosso L’applicazione delle tariffe aggiuntive al 25% sui prodotti europei risale al 18 ottobre del 2019, in seguito al pronunciamento del Wto sugli aiuti di Stato “distorsivi” erogati da Washington e da Bruxelles ai rispettivi colossi dell’aviazione civile, che ha sostanzialmente dato ragione agli Usa, autorizzandoli al recupero di 7,5 miliardi di dollari ai danni dell’Europa.La ritorsione, però, ha finito per colpire tutta una serie di prodotti, soprattutto dell’agroalimentare, che nulla avevano a che fare con il contenzioso. Tra questi, formaggi (come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano), salumi, cordiali e liquori mentre il vino italiano si è salvato superando i tanti empasse  di semestre in semestre. Stessa sorte non è toccata, però, agli altri Paesi Ue, come Francia, Germania e Spagna che sin dall’inizio hanno visto i loro vini finire nella lista nera. Dal canto suo, anche

Forse non è stato  l’accordo sperato, ma il mercato dell’Unione Europea non esce troppo malconcio dal patto siglato tra Ursula Von der Leyen e Boris Johnson. Un accordo che  non prevede dazi o quote a partire  da quelle dell’agroalimentare italiano che in Inghilterra ha il quarto mercato per un valore complessivo di 3,4  miliardi di euro. Sufficientemente soddisfatti molte esponenti politici e di  partire dalla Ministra della Politiche Agricole, Teresa Bellanova che dice. “Ho appreso con soddisfazione del raggiungimento di un’intesa sui futuri rapporti commerciali tra la Ue e il Regno Unito. Confidiamo sia un buon viatico per il nostro export in un momento già molto complesso. L’Italia - commenta la Bellanova - potrà continuare ad esportare prodotti agroalimentari senza dazi e senza quote e questo è un risultato importantissimo. È poi assicurata la prosecuzione della massima tutela alle indicazioni geografiche esistenti al 31 dicembre 2020, come previsto dall’accordo di recesso, e ci ripromettiamo di lavorare con i Paesi like-minded affinché adeguata protezione sia data anche alle future Indicazioni Geografiche registrate dopo il definitivo abbandono del Regno Unito dall’Ue”. Soddisfatte anche le organizzazioni di settore come Cia-agricoltori che sollecita una stretta governance sull’accordo per evitare danni ai prodotti maggiormente esportati in UK

Ce l’aveva fatta a febbraio quando i dazi Usa al 25% non avevano colpito il vino italiano, ora  gli stessi timori sono confermati: nella seconda lista di prodotti che potrebbero essere colpiti dalle tariffe aggiuntive ,il vino italiano ci sta e  con esso la partita a scacchi di chi gioca e perde. Ma andiamo per gradi sul sito di Ustr (Rappresentanza Usa per il commercio) sarà attiva dal 26 giugno la consultazione pubblica, meglio le scadenze da rispettare per partecipare fissata al 26 luglio, mentre la decisione finale sarà presa entro metà agosto (la scadenza dovrebbe essere quella del 12 agosto). Inoltre pesa sempre la sentenza Wto contro gli aiuti di stato Usa a Boeing, attesa sempre per il mese di agosto, dopo il rinvio primaverile dovuto al Covid: se fosse favorevole all’Europa questa potrebbe rispondere con contro-dazi o comunque usare la sentenza per avere voce in capitolo nel contenzioso. Intanto come rileva in un articolo comparso sul Gambero Rosso, il Covid potrebbe rivelarsi un prezioso alleato in quanto anche la ristorazione statunitense se la passa male : colpire il vino sarebbe un boomerang anche per loro “La possibilità di una nuova guerra commerciale con l’imposizione di ulteriori dazi da

 I dazi aggiuntivi statunitensi mettono nel caos l’export del vino. E a farne le spese, a dicembre, non sono solo i Paesi penalizzati in dogana ma anche l’Italia. È quanto rilevato dall’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, che ha elaborato i nuovi dati delle dogane Usa sui 12 mesi del 2019. Secondo l’Osservatorio, la guerra commerciale Usa-Ue ha creato negli ultimi mesi una serie di dinamiche negative, e a farne le spese è stata anche l’Italia che a dicembre ha perso il 7% a valore rispetto al pari periodo dello scorso anno, con un -12% per i suoi vini fermi. In questo circuito vizioso i produttori Ue segnano il passo, con la Francia che negli ultimi 2 mesi vede i propri fermi cadere a -36% e la Spagna a -9%. Per contro, volano le forniture da parte del Nuovo Mondo produttivo, con la Nuova Zelanda che sale a +40% a valore e il Cile, a +53%. «Assistiamo a un mercato confuso», ha detto il direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani, «contrassegnato prima da una corsa alle scorte e poi da grandi incertezze. Un clima che certo non giova agli scambi, fin qui molto positivi, e che speriamo possa cambiare il prima possibile. La speranza

Non ci piangiamo troppo addosso, il vino italiano piace e regge botta alle più nefaste previsioni a iniziare dai consumatori americani che hanno acquistato scorte in surplus di vino facendo registrare, tra gennaio e ottobre, la quota record di 1,3 miliardi e una crescita su base annua del 4,2%. Dati Istat indicano che nei primi 10 mesi del 2019 vi è stata una crescita del fatturato pari a 5,3 miliardi: la fortuna  ha voluto che i tanto gridati dazi americani, negli ultimi due mesi dell’anno passato, hanno risparmiato le etichette italiane a danno dei francesi e spagnoli con insospettato acquisto delle bottiglie Made in Italy e non solo dall’acquirente medio  ma in particolare da importatori e distributori USA che hanno fatto notevoli scorte in previsione dei dazi che con molta probabilità arriveranno nel 2020. E se gli USA si confermano il primo mercato con un fatturato tra gennaio-ottobre 2019 che ha sfiorato 1,3 miliardi e una crescita su base annua del 4,3%, anche altri mercati rispondono positivamente al nostro vino. E’il caso della Francia: Parigi ha acquistato etichette Made in Italy tra gennaio e ottobre per 174 milioni di euro con una crescita del 6,7%. Buone notizie dal Canada con un

Vino, biscotti, pasta, per rispettivi valori in export (1.500 miliardi il vino), olio (400 milioni) pasta (300 milioni), biscotti e caffè: su loro potrebbe abbattersi la nuova penalizzazione dei dazi americani che da giorni tiene con il fiato sospeso più di due terzi dell’export di cibo italiano negli Usa, per un valore di circa 3 miliardi.  Da ottobre i principali prodotti coinvolti sono stati i formaggi ( Parmigiano Reggiano, Pecorino, Gorgonzola), salumi, olio, liquori  con effetti sull’economia italiana di 0,5 miliardi e un ben -20% delle vendite dei prodotti agroalimentari Made in Italy( Fonte Coldiretti). E se il nostro paese nulla a che fare con gli aiuti per l’Airbus dati invece a Francia, Germania e Spagna,” purtroppo ad andarci di mezzo sono gli agricoltori italiani che subiscono-dice Ettore Prandini presidente  Coldiretti- penalizzazioni che non li riguardano”. Non è da meno Alberto Mantovani, direttore generale Vinitaly che ricorda come anche la Francia sta subendo grosse perdite nel settore vini visto  che chiude con un calo di vendite negli Usa del 36% a valore per i vini fermi sottoposti all’extra dazio del 25% nel solo mese di novembre rispetto alla stessa mensilità del 2018. In attesa dell’esito delle consultazioni del commissario europeo

Voce comune  contro i dazi Usa il cui countdown è finito,  il 13 gennaio al termine della  procedura di consultazione avviata dal Dipartimento del Commercio Americano (Ustr) sulla nuova lista allargata dei prodotti europei dopo che  la prima era entrata in vigore il 18 ottobre. Voce comune di Federvini , Unione Italiana Vini (Uiv) , Coldiretti ma soprattutto l’appello lanciato dalla Ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova  che ha chiesto all’Europa “un’azione forte senza un minuto da perdere”, dopo che il Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, ha autorizzato gli Usa ad applicare un limite massimo di 7,5 miliardi di dollari delle sanzioni alla Ue. Ora anche il richiamo di Cia-Agricoltori a che l’Europa deve unire le forze contro la minaccia americana che grava su olio e vino dopo aver pesantemente colpito i formaggi che potrebbero passare dall’attuale 25% a un possibile 50% con un grave danno per il tutto settore lattiero-caseario. Gli imprenditori italiani sanno quanto è importante il mercato americano il primo con 1,5 miliardi di euro e un peso sulle esportazioni totali oltreoceano del 35%. Da registrare sempre oggi la missione negli States, del Commissario al Commercio Phil Hogan (precedentemente all’Agricoltura) nella speranza che si possa avviare anche una soluzione diplomatica

Ancora prima dei formaggi sono i liquori le vittime di Trump: dei 482 milioni di importazioni di prodotti agroalimentari italiani in America colpite dai dazi, il 35% riguarda gli amari ,i liquori, gli  aperitivi e altre bevande spiritose . Un comparto.- come rileva Denis Pantini responsabile agroalimentare di Nomisma- in cui l’Italia assieme alla Germania detiene la leadership mondiale dell’export. Nel 2018 è stato venduto all’estero circa 405 milioni di euro di questi prodotti ma a differenza dei tedeschi che ne hanno venduto 4455 milioni, le esportazioni italiane sono state del 47% a fronte del 37% tedesco .Un comparto in cui -sempre da stime Nomisma e dell’Osservatorio Wine& Spirits di Federvini,  operano in particolare imprese medio-piccole con un fatturato di otre 10 milioni di euro e che potrebbero avere il rischio di una notevole perdita occupazionale

Non c’è pace per il comparto agroalimentare italiano dopo  l’autorizzazione dell’ l’Organizzazione Mondiale del Commercio a che gli Stati Uniti possano imporre dazi sui prodotti europei. A rischio , secondo Coldiretti   una lista per un valore tra i 5-10 miliardi di dollari nei confronti dei prodotti europei . I più allarmati sono i prodotti caseari in particolare il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano che per voce del Presidente del Consorzio Nicola Bertinelli ,dice “ A rischio fino al 90% dell’export che per noi significa una perdita di circa 200 milioni di euro e 9 milioni di tonnellate di prodotto. ”. Il prezzo della doc emiliana in Usa passerebbe dalle attuali 40 dollari at a 60  dollari con il rischio tangibile per l’export senza contare che allocare 9 milioni di chili è impresa ardua con la conseguenza di un grave ribasso del prezzo in Italia. Ma è tutto il settore caseario in fibrillazione per possibili conseguenze sui prezzi del latte e loro derivati. Latte, formaggi la lista si potrebbe allungare – osserva Coldiretti-ai vini, salumi, pasta, olio: un comparto il cui export negli USA vale 4,2 miliardi di euro