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Rubrica di Emanuela Medi
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Un articolo in memoria di Michael Broadbent, critico, banditore d’asta e membro dell’High Society londinese, e la riflessione sui “Parigi e i vini-monumento” nel Romanzo del Vino di Roberto Cipresso. Queste sono state le mie ultime letture. Ho trascorso mezza giornata immerso in due racconti fiabeschi - per quanto non privi di acume critico - della parte più patinata, più aristocratica, più mitizzata della galassia enoica: quella che ruota attorno a vini davanti ai quali “inchinarsi è un obbligo, non una libertà”. Potevo trarne ispirazione ed aprire l’unica bottiglia per così dire “monumentale” che conservo in cantina

Sull’annata 2015 del Brunello di Montalcino si è detto tutto e il contrario di tutto. Ci sono critici che, già dopo la prima sessione di assaggio nello scorso autunno, hanno cominciato a inondare la rete di proclami trionfanti, dispensando punteggi da capogiro a destra e manca, e ce ne sono altri che, invece, hanno espresso da subito una certa perplessità riguardo all’effettiva “grandiosità” di questo millesimo torrido, evidenziando che in certi casi ha dato vini “over the top” (ovvero sopra le righe). Purtroppo motivazioni lavorative prima, e il dilagare del coronavirus dopo, non ci hanno permesso di recarci in loco per approfondire la questione. E allora, per farci un’idea perlomeno vaga di quali siano le caratteristiche dell’annata, abbiamo deciso di stappare per Pasqua due etichette stilisticamente opposte di due aziende simbolo della denominazione.Il primo è il Brunello di Montalcino 2015 di Col d’Orcia, Azienda fondata dalla famiglia Franceschini alla fine dell’ 800’ e acquistata dai conti Marone Cinzano, pioneri del Vermouth e dell’Asti Spumante, nel 1973. Al netto delle circa 200.000 bottiglie prodotte annualmente, questa etichetta rappresenta il volto “pop” della denominazione e funge spesso da barometro per “pesare” l’annata. Da qualche tempo tutte le uve impiegate vengono da vigneti coltivati

Fluidità, souplesse, prevaricazione di ogni stereotipo varietale. Parlare del Bolgheri Superiore Le Gonnare di Fabio Motta come di un piccolo Masseto può sembrare retorico e un po' esagerato, ma che catturi il "genius loci" bolgherese non può negarlo nessuno.  Fabio, origini varesine, laurea in scienze agricole a Milano e una lunga esperienza alla corte di Michele Satta, di cui poi ha sposato la figlia, rappresenta il volto nuovo di un territorio che, dopo l’exploit degli anni 90' e dei primi duemila, si è un po' fossilizzato. Nel 2010 ha preso in affitto quattro ettari piantati a Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese, e ha cominciato a produrre il Bolgheri Rosso Pievi. Nel 2012 ha acquistato il vigneto Le Gonnare, dal quale trae l'omonimo vino a base Merlot con un una piccola percentuale di Syrah, vitigno tanto caro al suo maestro nonché suocero.  A distinguere il suo approccio da quello di molti suoi vicini è la ricerca della "trasparenza del legno" e la rinuncia a qualunque sotterfugio enologico. La fermentazione di Le Gonnare avviene in tini troncoconici senza l'aggiunta di lieviti, l'affinamento ha luogo in barrique perlopiù usate e l'utilizzo della solforosa è ridotto al minimo. Il risultato è un vino che evoca visioni carducciane. Il

Che estate sarà quella che viene dopo questa primavera nera? Potremmo stenderci uno accanto all’altro sotto gli ombrelloni e sulle dune bollenti o dovremmo mantenere ancora la distanza di sicurezza ed evitare gli assembramenti anche quando facciamo il bagno? Non lo sappiamo, e probabilmente non lo sapremo in tempi brevi. Non è neanche detto che il mare lo vedremo dal vivo e non in streaming. Nel frattempo, però, possiamo degustarlo (o pregustarlo) stappando il “bianco giusto” e ricordandoci che il pesce c’è: non si è estinto, non trasmette il virus, i barcaioli si ostinano a pescarlo anche a fronte il crollo della domanda, e, se non ci fidiamo della grande distribuzione, possiamo comprarlo dai tanti grossisti che effettuano consegne a domicilio in tutte le città dello stivale.  Quinta de Posauda - Vinho Verde Arinto Areal  2018  Tre proposte per immaginare di stare al mare. La prima è il vino fresco e beverino più diffuso in Portogallo da quando il Mateus e il Lancer’s sono passati di moda. Vinho Verde non è un vitigno, ma una denominazione della regione del Minho, nel nord del paese, dove da sempre si producono vini leggeri, scorrevoli, dal colore verdognolo che trasuda giovialità. Un buon esempio di

La famiglia Moris dedita all’agricoltura da generazioni, partì circa duecento anni fa  dalla Spagna per raggiungere le colline Metallifere della Maremma toscana, allora terra vergine per la viticoltura. Nel 1988 girando per i vigneti piantati nella Fattoria Moris-Poggetti tra Massa Marittima e Follonica, Adolfo Parentini appena entrato in famiglia scoprì, assieme al giovane enologo Attilio Pagli, varie piante di Cabernet Sauvignon insieme al Sangiovese. Da qui l’idea coraggiosa di un vino barricato in stile moderno che avrebbe fatto la fortuna dell’azienda. L’Avvoltore, (chiamato così per il tipico rapace che vola tra le vigne della Maremma) è un blend di Sangiovese , Cabernet Sauvignon e  Syrah. L’estensione totale dei terreni oggi raggiunge i 476 ettari di cui 40 con vigneti nella DOC "Monteregio di Massa Marittima" e 60 in località Poggio la Mozza, di cui 30 ettari nella DOC "Morellino di Scansano" prodotto nella versione base e Riserva. I vigneti datati sono uno dei motivi dell’alta qualità e della fama del vino ottenuto. La cantina è tradizionale e originale con tini in cemento e legno per l’invecchiamento cui si accompagnano  attrezzature e tecnologie moderne. L’affinamento avviene nelle grotte medievali di Massa Marittima e nelle cantine della Fattoria Poggetti e Poggio la Mozza. Tra le

Salcheto, in provincia di Siena, nel distretto del Vino Nobile, diviene azienda vinicola nel 1997 sotto la guida di Michele Manelli. Prende il nome dal ruscello che nasce ai piedi di Montepulciano dove una vallata di salici contribuisce all’autonomia energetica e la sostenibilità dell’ambiente. Il salice è oggi il logo della nuova bottiglia, la Bordolese Toscanella che ricorda la tradizione del vino toscano ma in versione più leggera ed ecologica. L’azienda, il cui consulente enologo è Paolo Vagaggini, opera su circa 58 ettari a 450 metri slm, fra le più elevate della zona con vigne a conduzione biologica, secondo il protocollo Europeo. I terreni di origine pliocenica con composizione mista tufaceo-argillosa coltivati a Prugnolo Gentile, Canaiolo, Mammolo, Colorino, Trebbiano, Malvasia, Merlot, Cabernet Franc, Petit Verdot sono divisi in 4 appezzamenti: 28 ettari a Montepulciano intorno alla cantina denominata “Salcheto”;11 ettari destinati al Chianti nel vigneto “Poggio Piglia”, 11 ettari di “alberello” in Val d’Orcia denominati “La Bandita” e 8 ettari denominati Abbadia a Montefollonico (Torrita di Siena) per un totale di 380.000 bottiglie l’anno circa. I vini sono improntati alla bevibilità ed alla precisione aromatica con raccolte manuali e vinificazione senza solfiti e lieviti indigeni. L’interesse verso la sostenibilità ambientale e

#viaggionelvino Facciamo nostro l’invito di Luigi Moio, vicepresidente OIV a intraprendere un viaggio, non proprio virtuale, per l’Italia nel vino, in tempo di crisi. Per questo abbiamo creato un nuovo hashtag al fine di segnalare alcune etichette che il nostro Raffaele Mosca Master Sommelier  ha  gustato andando alla ricerca di qualche bottiglia in vendita online o  “ ripescata “ nella memoria dei suoi non pochi viaggi. Proprio come Moio ci suggerisce ,Raffaele Mosca è andato oltre la semplice descrizione gustolfativa, per descrivere il vitigno, il territorio, la storia che il vino racconta.. EPOMEO ROSSO 2017 -CRATECA Non solo sole, vento, calette isolate, acque cristalline e sorgenti termali, ma anche sentieri tra le macchie, allevamenti e terrazzamenti che s’arrampicano su di un monte, l’Epomeo, che con i suoi 789 metri d’altitudine costituisce la vetta delle isole Flegree. Chi conosce bene Ischia, sa che l’isola offre questo doppio scenario, che la tradizione marinara convive da sempre con quella pastorale e che i vini rossi rappresentano una parte consistente della produzione enologica locale. Per l’Ischia Rosso c’è anche una DOC apposita, ma l’altisonante Igt che prende il nome proprio dal monte offre vini altrettanto interessanti.  DEGUSTAZIONE Molto buono è l’Epomeo Rosso di Crateca, boutique winery che ha

Areni, ovvero l’antenato armeno di tutti i vini contemporanei. L’ho scovato poco prima di Natale sugli scaffali dell’Eataly e l’ho preso per proporlo in una serata alternativa. Non immaginavo che, di lì a breve, me lo sarei ritrovato protagonista del primo capitolo di “Il tempo in una bottiglia - Storia naturale del vino”, testo olistico dei newyorkesi Ian Tattersall e Robert De Salle, rispettivamente antropologo e biologo in servizio presso il più famoso Museo di Storia Naturale del mondo.

Nel 1952 Pietro Spinato fonda l’azienda vinicola nel comune trevigiano di Ponte di Piave, situato tra le sponde del fiume omonimo e le colline di Conegliano e Valdobbiadene, dichiarate Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco nel 2019. Anno record per le esportazioni di Prosecco con un aumento del 21% delle vendite in valore sui mercati esteri (Coldiretti). Anna raccoglie il testimone di Pietro nel 2002 e ricorda le “corse pazze” a Venezia per consegnare il vino nei Bacari (tipiche osterie veneziane). Dallo stesso anno l’azienda ha iniziato ad aprire ai mercati internazionali dove oggi esporta più del 95% delle bottiglie prodotte. Oggi Roberto, figlio di Anna Spinato è alla guida della cantina, sua nel 2006 l’idea di un packaging con rivestimento in PET, detto sleeve, che aderisce alla bottiglia, dalla grafica colorata. Una vera rivoluzione soprattutto all'estero per la gamma di vini frizzanti e spumanti, Prosecco, Rosè e Moscato da 0,75 l con l’obiettivo di dare all’azienda un’identità visuale riconoscibile. Nel 2012 l’azienda ottiene la certificazione di azienda biologica. Anna Spinato promuove vini legati al territorio come il Raboso del Piave e l’Incrocio Manzoni, ma anche vitigni internazionali come Chardonnay, Sauvignon, Cabernet Sauvignon, Pinot Grigio e Merlot, con una produzione di oltre mezzo milione di bottiglie. PROSECCO DOC

Trebbiano, Malvasia e San Colombano ,i contadini li legavano tra un acero e l’altro, un po’ come si fa ancora con le cosiddette “viti maritate” campane, tenendoli sempre alti per lasciare spazio al bestiame che pascolava liberamente. Le uve, che erano raccolte ad autunno inoltrato, venivano appese su graticci collocati in ambienti ricavati nelle case di pietra. Appassivano lentamente, cullate dai venti che battono costantemente la valle del Clitunno. La fermentazione avveniva in caratelli lungo tutto l’inverno, e terminava giusto in tempo per la Pasqua, tant’è che alcuni storici del vino riconducono la discussissima origine dell’appellativo “Santo” ai festeggiamenti per il Cristo Risorto, nel corso dei quali si spillavano i primi campioni. E visto che a parlare di santi non manca poi molto per l’avvicinarsi della Santa Pasqua, riproponiamo una interessante degustazione fatta da Raffaele Mosca a proposito di un interessante e casalingo Vin Santo, appunto di Trevi A Trevi gli scampoli di quell’antica tradizione sono sopravvissuti fino agli anni 70′. Si è estinta per cause naturali – tra tutte, la morte per anzianità degli ultimi contadini – più che per l’avvento dell’agricoltura industriale, che qui è stato meno massiccio che altrove. Al momento, questo filone della viticoltura Trevano-spoletina non è ancora