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Rubrica di Emanuela Medi
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Adottare una vite è una vera emozione per appassionati o professionisti del vino un atto  che non si traduce  solo nel bere o regalare una bottiglia di vino, ma è anche scoprire un territorio. È questo il cuore del progetto enoturistico di “adozione a distanza” che approda in una delle zone vitivinicole più pregiate d’Italia: l’Irpinia con le sue tre storiche Docg Taurasi, Fiano di Avellino e Greco di Tufo. Il progetto Vitigni Irpini nasce precisamente il 26 giugno 2018 dalla pagina social “Vitigni Irpini”, un modo innovativo per promuovere, attraverso interviste e degustazioni con le aziende vinicole, il  territorio irpino. Dopo due anni di lavoro intenso, incontri con i vignaioli, durante il lockdown di marzo 2020 due giovani avellinesi, Michele e Antonella,  hanno pensato di realizzare l’idea “Adotta una vite” . Ma scopriamo il loro  identikid: Antonella Coppola,  è il cuore del progetto Vitigni Irpini. Dal 2000  grazie alle sue doti organizzative garantisce la migliore esperienza di viaggio individuando le esigenze e preferenze dei clienti.  Michele Bello, ideatore del progetto Vitigni Irpini. Tra eventi, degustazioni, visite in cantina viene "catturato" sempre più da questo fantastico mondo.  Entrambi  tra viaggi, visite e degustazioni in cantina,  partecipazione ad eventi vitivinicoli e assaggiando molti

Lo avevamo detto l’anno scorso e lo ribadiamo quest’anno: il Taurasi è senz’ombra di dubbio il vino più folle, più anarchico del belpaese. Non esiste una ricetta per produrlo: non ci sono regole, né correnti di pensiero, nemmeno un’ annata di riferimento. Ogni bottiglia è una sorpresa, ogni azienda un cosmo a sé stante; ogni comune, ogni contrada, ogni pezzo di terra ha una storia diversa da raccontare. Una sola cosa è certa: se è vero che i vini “affinati” sono quelli che patiranno meno questa crisi, allora i produttori di questo forastico Aglianico di montagna possono dormire sonni tranquilli. L’unica caratteristica che li accomuna è, infatti, una pazienza quasi arcaica. In questo mondo del vino frenetico, di cui solo la pandemia è riuscita a frenare la corsa, i viticoltori taurasini sono tra i pochi che non si affrettano a commercializzare le nuove annate non appena il disciplinare lo consente. A dire il vero, non sembra proprio importargli quanto tempo debba passare: quello che conta, nella loro ottica, è che il vino esca fuori dalla cantina già pronto per essere goduto appieno.A Ciak Irpinia 2019, il prof. Luigi Moio - deus ex machina di alcuni dei campioni del territorio -

“Il profilo che tracciamo di questa regione è quantomeno preoccupante. Ci sono ancora molti problemi basilari; infatti alcune non riescono ancora a ottenere una regolare erogazione di alcuni fondamentali servizi. (…) Sembra assurdo possibile che possano succedere ancora episodi simili in un paese come l’Italia che è fra i più industrializzati del mondo. (…) La strada da percorrere è ancora molto lunga per ottenere il recupero di un’enologia di una regione nella quale, come in molte altre, si è per lungo pensato più alla quantità che alla qualità” Stefano Di Marzio, Presidente del Consorzio Tutela Vini d'Irpinia Queste parole, che introducono la sezione Campania della guida vini d’Italia 1989, rappresentano, alla luce dello stato attuale del comparto regionale, la prova tangibile del miracolo che prima i viticoltori irpini, e poi quelli di tutte le altre zone della regione, hanno compiuto nell’arco di poco più di trent’anni. Sapevamo che avremmo dovuto citarle, perché aiutano a capire quanta strada sia stata fatta in così poco tempo. Ci è sembrato opportuno utilizzarle per introdurre il vino simbolo di questa rinascita: il Fiano di Avellino.In quella guida di Fiano di Avellino ne erano presenti solo due: il Vignadora ‘87 di Mastroberardino, azienda definita come “una cattedrale

Cominciamo il racconto della nostra Anteprima irpina a distanza da un vino considerato "minore": l’Aglianico DOC. Avevamo chiesto al consorzio di includerne qualche bottiglia tra i campioni destinati a questa iniziativa. Non immaginavamo che ne avremmo ricevuti ben ventidue, ovvero più di quanti ne avessimo mai degustati in precedenza. https://youtu.be/LqVwo9tsyzE Al netto di questa carrellata di assaggi, che ci ha permesso di approfondire una tipologia poco conosciuta al di fuori dei confini regionali, possiamo dire di aver individuato tre categorie nelle quali ricadono quasi tutti gli Irpinia Aglianico e Irpinia Campi Taurasini:⁃ Categoria 1: Vini “spensierati”. Appartengono in larga parte ai millesimi 2017 e 2018 e in qualche caso provengono da vigneti fuori DOCG. Trascorrono un brevissimo periodo in botte, acciaio o cemento prima di andare in bottiglia a pochi mesi dalla vendemmia. Le migliori versioni coniugano fragranze fruttate, sfumature vinose e tratti varietali di erbe e di spezie. Sono vini schietti e scorrevoli; catturano il lato più soave di questo vitigno "virile" e si abbinano al cibo con estrema facilità. Peccato che si tratti ancora di una minoranza

Antonio Caggiano - Tauri 2018. Potevamo mettere in evidenza il Salae Domini, ovvero il Campi Taurasini da singola vigna di questo produttore iconico, ma ci è sembrato ancor più compiuto questo fratellino minore che, utilizzando un tecnicismo aulico, potremmo definire come “vino da bere a secchiate”. L’olfatto soavissimo evoca ricordi di china, cola, rosa selvatica, mirtilli rossi e melagrana; il sapore offre tutto quello che si può desiderare da un Aglianico “giovane”: tannini leggiadri, acidità salivante, ritorni di pepe, fiori freschi e visciola croccante. È un caposaldo della categoria 1. 90 Cantina dei Monaci - Santa Lucia 2017. Profondo di sottobosco, tabacco Kentucky, boero. Caldo e possente al palato: sfodera tannini rigorosi, austeri a supporto della ricca componente fruttata. Chiude leggermente astringente. 88 Cantine di Marzo – Irpinia Aglianico 2017. Scuro, fumoso. Ha bisogno d’aria per distendersi e concedere aromi più affabili di erbe officinali e piccoli frutti neri. Più immediato è il palato succoso, carnoso di visciola e scandito da tannini leggermente scorbutici. Da aspettare. 86+ Claudio Quarta - Irpinia Aglianico 2018. Profumi classici di ruggine, ribes nero, erbe aromatiche e una traccia affumicata. Buona reattività al palato, alcol integrato, equilibrio tra frutto e tannino scalpitante e un finale coerente su toni

Lo avevamo detto l’anno scorso e lo ribadiamo quest’anno: il Taurasi è senz’ombra di dubbio il vino più folle, più anarchico del belpaese. Non esiste una ricetta per produrlo: non ci sono regole, né correnti di pensiero, nemmeno un’ annata di riferimento. Ogni bottiglia è una sorpresa, ogni azienda un cosmo a sé stante; ogni comune, ogni contrada, ogni pezzo di terra ha una storia diversa da raccontare. Una sola cosa è certa: se è vero che i vini “affinati” sono quelli che patiranno meno questa crisi, allora i produttori di questo forastico Aglianico di montagna possono dormire sonni tranquilli. L’unica caratteristica che li accomuna è, infatti, una pazienza quasi arcaica. In questo mondo del vino frenetico, di cui solo la pandemia è riuscita a frenare la corsa, i viticoltori taurasini sono tra i pochi che non si affrettano a commercializzare le nuove annate non appena il disciplinare lo consente. A dire il vero, non sembra proprio importargli quanto tempo debba passare: quello che conta, nella loro ottica, è che il vino esca fuori dalla cantina già pronto per essere goduto appieno.A Ciak Irpinia 2019, il prof. Luigi Moio - deus ex machina di alcuni dei campioni del territorio -

“Il profilo che tracciamo di questa regione è quantomeno preoccupante. Ci sono ancora molti problemi basilari; infatti alcune non riescono ancora a ottenere una regolare erogazione di alcuni fondamentali servizi. (…) Sembra assurdo possibile che possano succedere ancora episodi simili in un paese come l’Italia che è fra i più industrializzati del mondo. (…) La strada da percorrere è ancora molto lunga per ottenere il recupero di un’enologia di una regione nella quale, come in molte altre, si è per lungo pensato più alla quantità che alla qualità” Stefano Di Marzio, Presidente del Consorzio Tutela Vini d'Irpinia Queste parole, che introducono la sezione Campania della guida vini d’Italia 1989, rappresentano, alla luce dello stato attuale del comparto regionale, la prova tangibile del miracolo che prima i viticoltori irpini, e poi quelli di tutte le altre zone della regione, hanno compiuto nell’arco di poco più di trent’anni. Sapevamo che avremmo dovuto citarle, perché aiutano a capire quanta strada sia stata fatta in così poco tempo. Ci è sembrato opportuno utilizzarle per introdurre il vino simbolo di questa rinascita: il Fiano di Avellino.In quella guida di Fiano di Avellino ne erano presenti solo due: il Vignadora ‘87 di Mastroberardino, azienda definita come “una cattedrale

Cominciamo il racconto della nostra Anteprima irpina a distanza da un vino considerato "minore": l’Aglianico DOC. Avevamo chiesto al consorzio di includerne qualche bottiglia tra i campioni destinati a questa iniziativa. Non immaginavamo che ne avremmo ricevuti ben ventidue, ovvero più di quanti ne avessimo mai degustati in precedenza. https://youtu.be/LqVwo9tsyzE Al netto di questa carrellata di assaggi, che ci ha permesso di approfondire una tipologia poco conosciuta al di fuori dei confini regionali, possiamo dire di aver individuato tre categorie nelle quali ricadono quasi tutti gli Irpinia Aglianico e Irpinia Campi Taurasini:⁃ Categoria 1: Vini “spensierati”. Appartengono in larga parte ai millesimi 2017 e 2018 e in qualche caso provengono da vigneti fuori DOCG. Trascorrono un brevissimo periodo in botte, acciaio o cemento prima di andare in bottiglia a pochi mesi dalla vendemmia. Le migliori versioni coniugano fragranze fruttate, sfumature vinose e tratti varietali di erbe e di spezie. Sono vini schietti e scorrevoli; catturano il lato più soave di questo vitigno "virile" e si abbinano al cibo con estrema facilità. Peccato che si tratti ancora di una minoranza

Antonio Caggiano - Tauri 2018. Potevamo mettere in evidenza il Salae Domini, ovvero il Campi Taurasini da singola vigna di questo produttore iconico, ma ci è sembrato ancor più compiuto questo fratellino minore che, utilizzando un tecnicismo aulico, potremmo definire come “vino da bere a secchiate”. L’olfatto soavissimo evoca ricordi di china, cola, rosa selvatica, mirtilli rossi e melagrana; il sapore offre tutto quello che si può desiderare da un Aglianico “giovane”: tannini leggiadri, acidità salivante, ritorni di pepe, fiori freschi e visciola croccante. È un caposaldo della categoria 1. 90 Cantina dei Monaci - Santa Lucia 2017. Profondo di sottobosco, tabacco Kentucky, boero. Caldo e possente al palato: sfodera tannini rigorosi, austeri a supporto della ricca componente fruttata. Chiude leggermente astringente. 88 Cantine di Marzo – Irpinia Aglianico 2017. Scuro, fumoso. Ha bisogno d’aria per distendersi e concedere aromi più affabili di erbe officinali e piccoli frutti neri. Più immediato è il palato succoso, carnoso di visciola e scandito da tannini leggermente scorbutici. Da aspettare. 86+ Claudio Quarta - Irpinia Aglianico 2018. Profumi classici di ruggine, ribes nero, erbe aromatiche e una traccia affumicata. Buona reattività al palato, alcol integrato, equilibrio tra frutto e tannino scalpitante e un finale coerente su toni

A distanza di un anno dall’ultima edizione di Ciak Irpinia, evento che aveva radunato numerosi giornalisti e buyers internazionali nella cornice della Dogana dei Grani di Atripalda (AV), torniamo a parlare di questo territorio prolifico che, prima dello stop improvviso causato dal Covid-19, stava vivendo un boom senza precedenti. A breve presenteremo le nostre recensioni delle nuove annate di Irpinia Aglianico, Fiano di Avellino, Greco di Tufo e Taurasi. La nostra intervista al presidente del Consorzio Vini d’Irpinia Stefano di Marzo. Qual è la situazione attuale? Pensate di ricorrere alla vendemmia verde e/o alla distillazione di emergenza? Il logo del Consorzio Tutela Vini d'Irpinia Il Consorzio interloquisce quotidianamente con referenti istituzionali come il Ministero dell'Agricoltura e la Regione Campania per stimolarli (tra non poche difficoltà) ad assumere misure concrete a difesa del comparto vitivinicolo. Allo stato attuale le risorse messe in campo sono assolutamente insufficienti, ma, viste le esigue disponibilità per la distillazione di emergenza, credo che l'unica misura adatta alle esigenze del nostro territorio sia la vendemmia verde, che, se attivata e sostenuta economicamente, potrà almeno garantire il reddito a cantine e piccoli vignaioli.  Com'è stata l'annata 2019 per i bianchi? Grazie a un’estate eccezionalmente secca, la 2019 ha dato vita, in media, a