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Rubrica di Emanuela Medi
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La seconda novella della sesta giornata del Decamerone  ha per protagonista un fornaio di Firenze, Cisti,e per premessa una questione quasi filosofica, vale a dire, come dice Boccaccio: se sia un peccato maggiore che la Natura immetta un animo nobile in un corpo vile, o che la Sorte assegni a un’anima nobile un mestiere vile(“più in questo si pecchi, o la Natura apparecchiando a una nobile anima un vil corpo, o la Fortuna apparecchiando a un corpo dotato d’anima nobile vilmestiero”). Insomma, come si vedrà nella novella, il problema è che il fornaio, di nome Cisti, pur essendo, appunto, un fornaio, ha un animo nobile e da tale si comporta. Ciò premesso, il Boccaccio c’informa che Cisti, “d’altissimo animo fornito, la Fortuna (noi diremmo la Sorte) fece fornaio”. Ma questo modesto panettiere di umili origini riuscì a dare una lezione di comportamento a un nobile, come si legge nella didascalia della novella: Cisti fornaio con una sua parola fa ravvedere messer Geri Spina d’una sua transcurata domanda. In verità non è solo questo aspetto che emerge dalla novella, come vedremo, ma intanto entriamo in argomento. Cisti era diventato a poco a poco con la sua industria e capacità e con l’aiuto della Fortuna,