Tutti dicono che il turismo e l’enogastronomia costituiscono un fatturato annuo del 25-30% del Pil assommando i diversi comparti di riferimento.
Ora sui fatidici 1.800 miliardi di euro di Pil nazionale 2019 vuol dire un giro di affari lordo intorno ai 450 miliardi, molti realizzati con esportazioni di prodotti e con arrivi di turisti esteri in Italia. Dei 160 miliardi di euro di minor fatturato del Pil nel 2020, anno pandemico, circa il 60% è dovuto proprio alla debacle del nostro “oro nero”, seppur l’export sia anche migliorato rispetto al 2019.
Il gap non solo va recuperato, ma è anche da sottolineare che tutto l’insieme del mega comparto di riferimento è fortemente dipendente dal territorio, terreno produttivo, ambiente, clima, spazi, aree vitali di produzione, oltre che servizi, condizioni, modelli e stili di vita. E’ da sottolineare come molti dei servizi turistici, agroalimentari, enogastronomici, ricettivi si svolgono in territori che sono spesso disagiati, distanti dai centri abitati, in aree interne. Circa due terzi del territorio italiano è composto da luoghi di montagna e di collina, aree vulnerabili, delicate dove effettivamente da un lato si producono molti dei migliori prodotti tipici e alimentari nazionali, ma dove anche la vita sociale, civile e reddituale è molto precaria, poco servita, di basso livello, disagiata e quindi soggetta da decenni ad abbandono e a fughe all’estero o verso le aree metropolitane densamente popolate.
Su 210.000 kmq, circa 90.000 kmq sono di montagna pura, il resto è suolo collinare alto. Da qui anche la chiusura di servizi nevralgici come pronto soccorso, farmacie, scuole, asili, negozi, supermercati, sanitari. Di questo ampio territorio nazionale, oltre il 55% si trova sopra i 500 metri di altitudine, in condizioni di altissima biodiversità naturale, ma anche di difficile coltivazione agraria e produttiva, per cui anche la redditività – per quei pochi rimasti – è molto bassa ed insufficiente per