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Rubrica di Emanuela Medi
 

Tenuta Sarno, l’evoluzione del Fiano e la scoperta di Candida

Candida come i sassi tra i quali il Fiano getta le sue radici, Candida come la neve che arriva fissa ogni inverno. Candida è un paese sospeso a 630 metri di quota tra le valli irpine, lontano dal clamore e dalle luci abbaglianti del mondo che conta. Ma a rendere noto il suo nome tra New York, San Francisco e Roma ci pensa Maura Sarno, produttrice di uno dei migliori Bianchi d’ Italia.

A Candida la sua famiglia mise le radici già nel 1860, ignara del potenziale di questo frammento d’Irpinia. Qui la vite si coltivava già ai tempi dei Romani, ma ce n’era rimasta ben poca quando, venuto a mancare suo padre, Maura decise di aprire la sua azienda agricola. Del resto il suo destino era ben altro: avrebbe dovuto seguire il percorso paterno e diventare notaio, ma non passò mai il concorso e si trovò a dover scegliere un altro mestiere. Coraggiosa optó per ció che amava fare: piantare vigne di Fiano, assisterle nella crescita, trasformare il loro prodotto in un vino unico per spessore e personalità.

Quindici anni sono passati dall’inizio di quell’ avventura e Candida già figura tra i “Cru” del Fiano assieme a Montefredane, Lapio e Summonte, comuni che altri innovatori come Antoine Gaita, Clelia Romano, Guido Marsella e Ciro Picariello hanno reso noti agli amanti del buon vino. C’è da dire che Candida è forse ancora più speciale di questi ultimi, poiché con i suoi oltre 630 metri è il più alto areale dedicato al Fiano, uva che trae beneficio dai magri suoli calcarei e vulcanici e dal clima appenninico. Tanto caldo a mezzogiorno nella bella stagione quanto freddo d’inverno e fresco nelle notti d’ estate, quando le estreme escursioni termiche impongono alla vite una sorta di letargo notturno, frenando la maturazione e favorendo la conservazione di acidità e precursori aromatici.

“Il Fiano è svilito da chi lo vende 4 euro..” spiega Maura durante la degustazione, puntando il dito contro chi non interpreta con dovizia questo vitigno fuori dal comune. ” Fortunatamente siamo riusciti ad ottenere la denominazione Fiano Riserva ed sarò io tra i primi a partire con l’annata 2017″ .

Del resto si sa che il Fiano è un “rosso camuffato da bianco” che dà il meglio di sé solo dopo un lungo affinamento in bottiglia, merito dell’altissima acidità, del Ph basso e della tendenza a sviluppare norisoprenoidi, molecole aromatiche che si trovano  ben più frequentemente nei rossi che nei bianchi e che nel lungo termine danno vita ad intriganti aromi terziari. É per questo che la creazione di una denominazione apposita per la “Riserva” é l’espediente necessario per la valorizzazione di questo autoctono che – non me ne vogliano i produttori di Greco e Aglianico – è divenuto simbolo della Rinascita irpina.

E in effetti é impossibile non notare la differenza tra le annate più recenti del Fiano di Avellino “Sarno 1860” e quelle risalenti all’inizio del decennio: se delle prime si apprezza il connubio di dinamismo e morbidezza glicerica, nelle seconde il vitigno si esprime in tutto il suo splendore, evocando reminiscenze borgognone tra distinti aliti vulcanici.

Questo è il Fiano” spiega Maura , “vitigno al quale ho consacrato il mio progetto“. Impossibile non lodare la scelta ostica e coraggiosa di puntare tutto su questo vitigno, scelta avversa ad ogni strategia di marketing ma decisamente vincente, perlomeno stando ai punteggi clamorosi attribuiti dai critici di mezzo mondo a questo fantastico prodotto, orgoglio di un territorio – quello Irpino – che vive un periodo d’ inarrestabile ascesa.

Fiano d’Avellino 2017. Dal liquido paglierino splendente si levano aromi freschi e gioviali di sfusato amalfitano, fiore di tiglio, ginestra e fieno odoroso, poi refoli iodati ed affumicati, precursori della verve minerale che emergerà col tempo. L’assaggio é dinamico ma avvolgente, intensamente salmastro e altrettanto fresco, dotato di una buona componente glicerica che conferisce straordinaria pulizia ad un finale già disteso.

Fiano d’Avellino 2016. L’annata piuttosto fredda e complicata è riflessa in un bagaglio olfattivo un po’ più austero, incentrato su toni di cedro, susina gialla, pietra focaia e mandorla dolce. Al sorso l’eccellente equilibrio tra freschezza e morbidezza glicerica conferma la resilienza di Maura e del Fiano anche alle annate climaticamente più avverse.

Fiano d’Avellino 2013. Ecco che, a cinque anni dalla vendemmia e quattro dall’imbottigliamento, il carattere del Fiano comincia a uscire fuori. I norisoprenoidi fanno capolino e si sublimano in fascinosi sentori di resina e idrocarburi, ai quali si accostano spennellate di albicocca, ananas, miele d’ acacia e zenzero candito. Decisa morbidezza e contestuale dinamismo acido-sapido rendono il sorso armonioso e gustoso, appagante e complesso l’ottimo allungo.

Fiano d’Avellino 2010. All’alba dell’ottava primavera il Fiano sfoggia sontuoso il suo estro, esalando splendidi aromi di cherosene, carbone fossile, fieno secco, origano, timo, e ancora ventate dolci di confettura d’agrume e di miele, tocchi speziati di curcuma e cannella. La freschezza, ancora intatta, é il perno di un sorso goloso e armonioso, salmastro e nel contempo avvolgente di miele e frutta esotica, lunghissimo nei coerenti rimandi finali.

Potremmo accontentarci di questa performance, ma sono tanti gli elementi che ci fanno pensare ad un futuro prospero. Insomma, se é vero che numerosi traguardi sono stati raggiunti, il meglio, per Maura e per il Fiano, deve ancora venire..

Raffaele Mosca,  Wine Master

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