a

I Tag di Vinosano
Rubrica di Emanuela Medi
 

 Un vino leggendario, nato in una notte per opera di un dio: il Falernum (Parte II)

Silio, nominato console da Nerone, fu amico di Vitellio e proconsole. Alla fine della sua vita si ritirò in Campania, dove aveva, oltre numerosissime opere d’arte e un grande patrimonio librario, varie proprietà tra cui una villa a Posillipo (che si diceva racchiudesse il sepolcro di Virgilio), e una che era stata di Cicerone.

Silio Italico, dunque, scelse come ultima dimora,  proprio come aveva fatto lo stesso Scipione, la Campania.  E, proprio di questa terra, ci racconta il mito che ne esalta la fertilità: era da questo suolo che aveva avuto origine, per opera di un dio, un vino leggendario: appunto il Falernum.

Secondo il mito, il dio Bacco  avrebbe visitato, sotto mentite spoglie, un vecchio contadino, che si chiamava Falerno, alle pendici del monte Massico, nella campagna a nord di Napoli. Dopo che il contadino, che pur conduceva una vita grama, ebbe offerto al suo ospite con grande generosità tutto quello che aveva, il dio, in segno di ringraziamento, gli donò il vino. Ne seguì, ovviamente, una robusta ubriacatura che fece piombare l’inesperto Falerno in un sonno profondo. Quando la mattina seguente il dio si fu allontanato e il chiarore dell’alba dalle dita rosate lumeggiava le verdi pendici del monte, il contadino poté scorgere con infinito stupore che l’intera montagna era stato ricoperta di frondosi vitigni.

Era nato quello che potremmo chiamare, secondo alcuni, il più antico vino del mondo: il Falerno, che poi sarebbe stato coltivato soprattutto sul Monte Gauro, un altro monte della zona, conosciuto nel medioevo come Monte Barbaro, rifugio delle streghe e dei loro tesori.

La popolarità del Falernum, che secondo Varrone migliorava con l’età a differenza di altri vini che invece dovevano essere bevuti entro l’anno, è attestata anche da alcune inscrizioni ritrovate a Pompei. In una taverna della famosa città vesuviana veniva reclamata un’offerta per alcuni fortunati, irrinunciabile: al costo di un asse si poteva comprare il vino, mentre per due assi si beveva il vino migliore, e con quattro assi si acquistava il prezioso Falernum.

Sappiamo che questo vino era sorseggiato e preferito dai poeti Catullo e Orazio; dall’istrionico Trimalchio nel Satyricon di Petronio dove per impressionare gli ospiti era utilizzato persino per lavarsi le mani, ai banchetti lussuosi degli imperatori, come Caligola.

Columella nel De re rustica ci dice che il Falernum, il vino più bevuto tra i patrizi, fu importato in Italia dai coloni greci che si stanziarono a Cuma nel golfo della città nuova, Nea-polis. Secondo l’enciclopedico Plinio -detto “Il Vecchio”, per distinguerlo dal più giovane nipote, anch’egli scrittore- nativo di Como e morto a seguito dell’eruzione del Vesuvio 79 A.D., vi erano anche altri due tipi di vino coltivati su zone più elevate del Monte Falerno, il Cuaciniano e il Faustiano (quest’ultimo avrebbe preso il nome da Fausto Cornelio Silla, figlio del celebre dittatore e di Cecilia Metella Dalmatica; Fausto ereditò la villa paterna nell’anno 78 a. C.).

Anche secondo Marziale il vino migliore era il Falernum; misto a miele attico,  bevanda tanto eccelsa da poter essere versata dal più bello tra i mortali sulla terra: Ganimede. Ganimede, secondo quanto ci è stato tramandato anche da Omero, era stato rapito dal bizzoso Zeus che, invaghito del giovane pastore che viveva sul monte Ida nell’antica Frigia, acquisite le fattezze di un’aquila, l’aveva condotto sul monte Olimpo, il reame degli dei. Ganimede divenne il personale coppiere del più potente degli dei, un sommelier ante litteram, a cui Zeus conferì anche i doni dell’immortalità e dell’eterna giovinezza.

Antonio Di Fiore

Per leggere la prima parte di questo articolo:

http://www.farodiroma.it/consuetudini-e-divieti-nella-storia-del-vino-nella-distruzione-di-cartagine-sopravvive-un-antico-e-prezioso-trattato-punico-sul-vino-i-parte/

 

Tag degli articoli
Condividi sui social network