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Rubrica di Emanuela Medi
 

Una pipì a peso d’oro. Tra leggi, giurisprudenza e realtà

Se la statua del Manneken Pis (in dialetto fiammingo “ragazzetto che fa pipì”) è il simbolo dell’indipendenza di spirito degli abitanti di Bruxelles, è bene sapere che in Italia un “ragazzetto che fa pipì” per strada è passibile di una multa molto, ma davvero molto salata.

Questa è la storia di un giovane artista di strada, extracomunitario regolare, che all’inizio della cosiddetta fase 2 del Covid-19, trovandosi nell’impossibilità di accedere ad un bagno pubblico o privato e nella necessità di dover espletare il proprio bisogno fisiologico, orinava in luogo pubblico (1). Per questa trasgressione gli veniva contestata la violazione dell’art. 726 c.p., depenalizzato dal 2016, ed oggi punita con una sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 5.000 a Euro 10.000 ovvero di Euro 3.333,33 se pagata in misura ridotta entro 60 giorni dalla contestazione o notificazione.

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In base a questa giurisprudenza,  si ritiene che, in questo caso, ci siano almeno due buoni motivi per escludere la responsabilità della violazione di cui è accusato il giovane artista di strada.

I comuni parametri di valutazione

Sembra proprio che l’organo accertatore non abbia rapportato i comuni parametri di valutazione allo specifico contesto spazio-temporale della condotta. Da nessuna parte emerge l’eccezionalità del momento spazio-temporale in cui avveniva il fatto: l’inizio della cosiddetta fase 2 del Covid-19. In particolare, si trattava di quel periodo di tempo compreso tra la fine del lockdown inteso in senso stretto, che possiamo far risalire al 4 maggio, e l’inizio della fase delle “prime e graduali riaperture” riconducibile, invece, al 18 maggio. Questo contesto spazio-temporale è circostanza fondamentale e necessaria per comprendere il fatto ed escludere ogni responsabilità a chi ha fatto la pipì.

Si pensi alla condizione di generale malessere che può derivare dalla necessità di trattenere un impellente bisogno fisiologico e al profondo disagio personale (prima ancora che sociale) che genera il  comprendere di non essere in grado di trattenerlo oltre.  Una situazione in cui nessuno vi si metterebbe consapevolmente. Eppure, senza offendere nessuno, credo che sia capitato a tutti almeno una volta nella vita. In un normale contesto spazio-temporale si ha sempre la possibilità di recarsi presso un bagno o di nascondersi in natura e la cosa finisce così.

Purtroppo, nel nostro caso, non c’era né la possibilità di recarsi presso un bagno nelle vicinanze (dal momento che, a causa del Covid-19, bar e ristoranti erano ancora chiusi), né la possibilità di nascondersi in natura, trovandosi in pieno centro città. Ugualmente preclusa era la possibilità di tornare a casa dal momento che questa si trovava troppo lontana per poterla raggiungere in tempo utile. E così il nostro artista di strada cercava di nascondersi in città dove, effettivamente, orinava in luogo pubblico, trovando riparo dagli occhi dei pochi passanti presenti ma non da quelli attenti dei conducenti degli autobus in transito (!).

La specificità del “reo”

Il secondo aspetto di questa situazione che non è stata presa in debita considerazione dall’organo accertatore riguarda le particolari modalità in cui si è svolto il fatto, la personalità del soggetto e le sue condizioni economiche. Come ci insegna Cassazione, per la configurabilità del reato occorre porre in essere comportamenti che offendano concretamente il bene giuridico tutelato, in modo da suscitare nell’uomo medio del tempo presente, ed in relazione al contesto spazio-temporale dell’atto in sé, un senso di riprovazione, disgusto o disagio. Ma è pur vero che devono essere tenuti in considerazione, per un corretto bilanciamento, anche il comportamento di questa persona per attenuare le conseguenze della violazione, la sua personalità, nonché le sue condizioni economiche.

L’organo accertatore, invece, non sembra in alcun modo aver considerato questi aspetti che, però, incidono fortemente sul contesto del fatto. E’ ragionevole pensare che nella cultura dell’Africa occidentale da cui proviene il nostro artista di strada, orinare in luogo pubblico non costituisca un atto contrario alla pubblica decenza, ma l’espletamento di un bisogno fisiologico necessario. Ciò nondimeno il nostro ha agito senza cercare di nascondersi, seppur goffamente. Infine, nulla emerge in relazione alle sue condizioni economiche che, com’è intuibile, sono a dir poco precarie e tali da fare presumere che non sarà in grado di saldare il suo debito con lo Stato italiano.

In conclusione

non si possono non richiamare il principio rieducativo della pena ed il principio della proporzione della stessa. E’ chiaro che non si tratta di due principi in contraddizione tra loro ma, al contrario, è ragionevole pensare che infliggere una pena proporzionata al fatto commesso rappresenti elemento base della rieducazione in base al quale un condannato sarà in grado di risocializzare. Nel nostro sistema costituzionale, quindi, il principio rieducativo si deve armonizzare col principio di proporzione della pena, stabilendo una correlazione effettiva e non meccanica tra la gravità dell’offesa e la qualità-quantità della sanzione. 

Nel nostro caso,  sembra difficile sostenere che la pena inflitta sia  proporzionata al fatto commesso. E infatti è stato spezzato il rapporto tra proporzione e rieducazione della pena, dove la proporzione è il punto di partenza della pena stessa.

Sembrerebbe, invece, che sia stata effettuata una correlazione solo meccanica tra la gravità dell’offesa e la qualità-quantità della sanzione. Ci si sarebbe limitati, cioé, a trasferire il fatto-reato dall’ambito penale a quello amministrativo, senza che ci sia un’effettiva correlazione, con la conseguenza che la sanzione amministrativa pecuniaria attualmente prevista risulta fortemente sproporzionata rispetto alla gravità del fatto.

Firenze 2 giugno 2020

Angela Furlan,Presidente Super Minus  onlus, consulente  ADUC( Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori

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