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Rubrica di Emanuela Medi
 

Vin Santo del Chianti Classico – Il volto dolce del territorio vinicolo più bello del mondo

Nella Toscana delle dolci colline e dei borghi fatati i Vinsanti sono tanti e tutti validi. Tra questi se ne annoverano alcuni celebri e preziosi come il Vin Santo di Montepulciano, ed altri piccoli e ricercati come quelli della Rufina, dei Colli Aretini e di Carmignano.

Ad ogni modo, quello che rappresenta la tradizione più consolidata è senza dubbio il Vin Santo del Chianti Classico, prodotto al quale Daniele Cernilli, in arte Doctorwine, ha dedicato un seminario nel corso di Chianti Classico Collection 2019. Assistito dal neo-presidente del Consorzio Giovanni Manetti, il Doctorwine ha guidato i suoi spettatori in un percorso alla scoperta di dodici Vinsanti prodotti da altrettante aziende, mettendo in luce i differenti stili produttivi e discorrendo della valenza culturale di un prodotto che per i Chiantigiani è sinonimo di casa e di famiglia.

Da strenuo oppositore del vino naturale, Daniele Cernilli ribadisce in ogni occasione che, in mancanza dell’intervento umano, la vite potrebbe al massimo donare un pessimo aceto. Eppure, nell’introdurre il Vin Santo del Chianti Classico, specifica che si tratta del più antico vino naturale del belpaese. D’altro canto, è innegabile che il fascino di questo prodotto caloroso, a tratti casalingo, risieda proprio in quelle imperfezioni che spesso lo caratterizzano e che lo rendono quasi imprevedibile nei suoi sviluppi. Altrettanto certo è che il suo processo di produzione non sia stato influenzato dell’enologia moderna, tant’è che ancora oggi lo si ottiene alla maniera degli “avi“, ovvero lasciando le uve appassire naturalmente su penzoli, fermentando il mosto spontaneamente e imbottigliando a conclusione del lungo invecchiamento senza ricorrere né a chiarifiche, né ad aggiunte di solfiti.

Questo approccio non interventista è perfettamente in linea con l’identità tradizional-popolare di questo nettare casereccio, non di rado vinificato in maniera amatoriale con uve acquistate, e del quale molte famiglie Chiantigiane tengono in cantina un caratello o una damigiana da cui spillare piccoli dosi in base alle necessità. Usanza diffusa è consumarlo nelle festività, motivo per il quale in molti sostengono che il nome derivi dai giorni “santi”.  Altra ipotesi assai curiosa è quella che vede nelle sue presunte proprietà curative l’origine dell’appellativo “santo”, mentre più concreta, ma non meno fascinosa, è quella secondo la quale sarebbero stati i Veneziani ad importare il metodo produttivo dall’isola greca di Xantos.

Quanto difficile sia proporre al mercato un prodotto così spontaneo e nel contempo così celebrale lo può dire a gran voce il presidente Giovanni Manetti, che in quel di Panzano in Chianti ne produce una singolarissima interpretazione da uve bianche e rosse in porzioni uguali. Tempo fa, durante una visita presso la sua Fontodi, Manetti raccontava al sottoscritto e a un gruppo di colleghi che il suo Vin Santo prende molto spesso la via dell’export, riscuotendo gran successo in paesi dai gusti “sofisticati” come la Svizzera. Nel corso di questo seminario, il presidente allude di nuovo a questa tendenza, ribadendo, inoltre, che il Vin Santo lo si produce più per devozione che per economia. Del resto, un vino che resta fermo per anni e che nel tempo perde buona parte della sua massa – si dice che una parte se la prendano gli “angeli” – non può che essere anti-economico. A questo proposito, Cernilli aggiunge che bisognerebbe venderlo a prezzi stratosferici per guadagnarci davvero qualcosa.

 

DEGUSTAZIONE

 

Castello di Monterinaldi – Occhio di Pernice 2012.

Parte da un “Occhio di Pernice”, vale a dire da un Vin Santo prodotto principalmente da uve rosse, il percorso attraverso questi otto calici sospesi tra ambra, topazio e buccia di cipolla. Quest’ultima tonalità è la più appropriata per descrivere la veste del primo vino. La discreta spinta alcolica solleva aromi di ciliegia sotto spirito, biscotto al cacao, sciroppo d’acero e menta. Simili sensazioni riecheggiano in bocca, dove la densa dolcezza è corrisposta da una buona vena acida. La classica nota di mandorla, frutto del decadimento di molecole aromatiche chiamate “acetaldeidi”, corona il disteso finale. In una parola: classico. 89/100.

 

Badia a Coltibuono – 2010

Una smagliante veste oro antico e profumi particolarmente nitidi di albicocca, macaron alla vaniglia, caramella balsamica e boiserie definiscono il profilo di questo Vin Santo di stampo moderno, ottenuto da un assemblaggio di Trebbiano e Malvasia in porzioni uguali. Pimpante freschezza e saldo supporto salino bilanciano un sorso pulito, preciso, dolce al punto giusto e cadenzato da golosi ritorni di miele, caramella d’orzo e cannella. In una parola: raffinato. 91/100

 

Fontodi – 2008.

Sospeso tra ambra e rosso tenue – quasi a ricordare il Giallo Vangoghiano – il singolarissimo Vinsanto di Casa Manetti fonde la vena ossidativa comune ai prodotti più tradizionali con intriganti sensazioni di rose appassite, boero, menta dolce, torrefazione ed erbe aromatiche che richiamano i grandi Porto. Le ottime premesse sono confermate da un sorso elegante, misuratamente dolce, rinfrancato da corroborante spinta sapida e solleticato da un guizzo tannico. Echi dolci e balsamici si rincorrono in un finale ampio ed estremamente raffinato. In una parola: ammaliante. 95/100

 

Isole e Olena – 2008.

Classiche sfumature ambrate e profumi didattici di rovere vecchio, miele di castagno, panforte senese e canditi. Al gusto procede con simile aplomb, meno dolce dei precedenti e segnato da un nitido ricordo di miele di corbezzolo. Sfuma lento tra rintocchi salini e pizzichi di spezie dolci. In una parola: inaspettato. 92/100

 

Rocca di Montegrossi – 2008.

Archetipico nella veste ambrata, il Vinsanto dell”altro Ricasoli” oscilla tra il classico miele ed intriganti sensazioni scure, quasi tabaccose. Il gusto risulta altrettanto denso, profondo e carnoso, seppur lievemente in difetto di acidità e sapidità. Chiude caldo e di nuovo terroso. In una parola: opulento. 89/100

 

Castello di Monsanto – La Chimera 2007

Cantuccio alle mandorle, roll alla cannella, albicocca sciroppata e miele d’acacia compongono un olfatto di sorprendente solarità, riecheggiando coerenti in una bocca davvero gustosa. L’equilibrata dolcezza, il pronunciato refolo alcolico e la piacevole vena tostata di fondo regalano una sensazione retro-olfattiva simile a quella di un buon Cognac. In una parola: rilassato. 91/100

 

Felsina – 2007.

Il profilo ramato indica nuovamente la presenza del Sangiovese, che al naso è confermata da toni soavi di rose macerate e ciliegie sotto spirito. Un bella spinta minerale ed un vivace tocco speziato sostengono un sorso di estrema piacevolezza, per poi sfumare in un finale dai netti ricordi di kirsch e nocino. In una parola: tenace. 93/100

 

Castello della Cacchiano – 2004

Il decano della batteria appare disteso, maturo, confortante nei ricordi di marron glacé, polvere di cacao, terriccio bagnato e tabacco orientale. Di certo rotondo, ma non privo di tempra, abbraccia il palato con le sue incipienti morbidezze, scemando lento tra ritorni mielosi e ammandorlati. Maturo ma non stanco, accompagna egregiamente la meditazione, portando in dote l’equilibrio conferito dal tempo e la generosità tipica di questo caloroso nettare. In una parola: appagante. 91/100

 

Raffaele Mosca, Master Sommelier

 

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