Non è un caso che una delle nostre più fortunate rubriche ”A tavola con gli antichi” ha incontrato tanto interesse tra i nostri lettori, non fosse altro che per il mutare, nel tempo dello stesso concetto di pranzo: oggi, un boccone al volo, presi dal lavoro, oppure, per chi riesce a sedersi a tavola, un piatto di pasta ed al massimo un secondo.
Ma cosa voleva dire invece pranzare alla Corte di un Re? Ce lo raccontano anche i pranzi alla corte dei Savoia dove vigeva una regola: sfarzo, abbondanza, con una incredibile sequenza di specialità culinarie tanto da essere oggi improponibili perché ipercalorici e facilmente indigesti.
Vittorio Emanuele II, il primo Re d’Italia, era descritto come un Re poco mondano e per niente raffinato: lui amava i cibi rustici come polenta, formaggi stagionati odorosi di stalla, bolliti misti delle Langhe e bere vini corposi come Barolo e Barbaresco: questo il menù del pranzo offerto dal Re Vittorio Emanuele II alla vigilia dell’Unità d’Italia ai rappresentanti della Nuova Italia, accorsi a Torino per festeggiare l’avvenimento.
Potage d’orge perlè
Poulets à la Villeroy
Boeuf à la modeavecpommes de terre
Supréme à la financiére
Filets de lièvreauMadère
ArtichautssauceVentienne
Salè et beurre
Chanilly à la vanille
Patisserie e Dessert
Glace à la vanille
Non sono citati i vini. Si tratta di un menù di impostazione francese con diversi tipi di carni e dolci. Ai tempi dell’Unità d’Italia il cuoco di corte era Edouard Hèlouis, rigorosamente francese, (allievo del grande Carême). I menù erano scritti in francese e continuarono sino al 21-12-1907, quando il re Vittorio Emanuele III impose allo staff del Quirinale la lingua italiana per i pranzi di gala.
Claudio Chiricolo, tratto da ”La storia di ciò che mangiamo” di Renzo Pellati