Secondo una recente classifica della rivista americana «Newsweek» tra i primi tre vulcani più letali esistenti al mondo due sono ubicati sul territorio napoletano, il più noto Vesuvio e il meno conosciuto Supervulcano dei Campi Flegrei. Il Vesuvio, conosciuto soprattutto per la celebre eruzione del 79 d.C., ha una potenza distruttiva da flussi piroclastici e rapide emissioni di gas roventi in grado di raggiungere anche settecento chilometri l’ora. Uno scenario che in poco tempo nella grande eruzione del 79 d. C distrusse Pompei, Ercolano e Stabia. Il testimone era Plinio Il Giovane, che in memoria della tragica morte dello zio, Plinio il Vecchio, descrisse la grande eruzione con due lettere a Tacito (Plinio il Giovane, Epistularumlibri, VI, 16).
Molte le testimonianze giunte fino a noi che raccontano la dolcezza del vivere nell’evo antico entro questo grande arco vulcanico che si estende dalla terraferma intorno a Cuma e Dicearchia (Pozzuoli), per arrivare al di là del mare a Procida e Ischia. Tra quelle pervenuteci , spicca soprattutto quella che ci è giunta in forma di epigramma sulla cosiddetta Coppa di Nestore, oggi esposta nello splendido Museo di Villa Arbusto ad Ischia.
Si tratta di uno dei più antichi epigrammi risalente al sec. VIII a.C., rinvenuto nel 1955 sull’isola flegrea di Pitecusa (Ischia). Questo eccezionale ritrovamento, che risulterebbe il più antico esempio di scrittura greca in Europa, potrebbe contribuire a retrodatare la cronologia della fondazione dell’antica Pitecusa, già ritenuta il più antico insediamento di tutta la Magna Grecia, chiamata poi dai Romani Aenaria, la terra del vino.
Non possiamo fare a meno di porre nel nostro immaginario, la coppa di terracotta di Ischia accanto alla coppa d’oro, anch’essa chiamata “di Nestore”, scoperta quasi un secolo prima (1876) dal famoso archeologo Heinrich Schliemann a Micene. La coppa ritrovata a Pitecusa è, a suo stesso dire, un calice afrodisiaco con tanto di firma. “Io sono la bella Coppa di Nestore/chi berrà da questa coppa/subito lo prenderà il desiderio di Afrodite dalla bella corona».
Per immaginare come dovevano essere le zone vulcaniche ai tempi della Campania che proprio a Plinio (Il Vecchio) pare debba l’aggettivo Felix, basta ricorrere, tra le altre testimonianze, a Marziale, uno dei più importanti autori per la ricostruzione della vita quotidiana del mondo antico.
Anche dagli Epigrammi di Marziale sappiamo che la terra della Campania ospitava verdi colline disseminate di vitigni così abbondanti da creare veri e propri laghi di vino (uva lacus). Terre tanto fertili che il dio Bacco amava tra ombre e rugiadosa campagna e dove anche la dea Venere era nota per amare quei luoghi più della gloriosa città di Sparta (Lacedemone). .
Lo scenario irenico degli Epigrammi di Marziale viene improvvisamente interrotto dal poeta della Hispania Tarraconensis, quando descrive come quei luoghi vulcanici cari ad Ercole, ospitanti floridi vitigni, furono sommersi tristemente dalla lava , distruggendo e ricoprendo tutte le cose rimanenti . Un caos infernale non arduo da immaginare anche oggi se si tiene conto che nel raggio di cento una vastità territoriale di 30 Km e ospita circa mezzo milione di persone chilometri della temuta montagna ,vivono circa sei milioni di persone .La sola caldera con i suoi 24 crateri si sviluppa su
Formatosi circa quarantamila anni fa,il vulcano flegreo potrebbe trarre in inganno per la sua morfologia mancante della tipica forma a cono (l’ultima eruzione, non così apocalittica, risale al 1538, quando il materiale eruttato formò il Monte Nuovo). Zona in costante movimento cresciuta di 2 metri negli ultimi cinquanta anni). Secondo recenti studi, il Supervulcano Flegreo- nota come zona flegrea- potrebbe oscurare la terra, raffreddando tre quarti della superficie terrestre:. una potenziale catastrofe riportata anche dai giornali britannici che, allarmati dagli ultimi studi , hanno definito il Vesuvio non altro che un piccolo brufolo sulla schiena del dormiente drago flegreo, inabissato a quattro miglia di profondità, e considerato dunque il vero pericolo.
Sappiamo infatti che in realtà il vulcano Flegreo-appartenente come si è già accennato alla categoria dei ‘Supervulcani’ col massimo indice (8) di esplosività (VolcanicExplosivity Index: VEI)-proprio perché privo del caratteristico cono – si nasconde in realtà sotto il livello del mare del golfo di Napoli, e sotto l’apparente pacifico e fertile suolo che ha ispirato tanti miti nella antica Magna Graecia
Antonio Di Fiore