a

I Tag di Vinosano
Rubrica di Emanuela Medi
 

I riti antichi del Venerdì santo e Lunedì in albis

Il Venerdì che precede la Pasqua cristiana  è la giornata del lutto, del cordoglio e del dolore, e innumerevoli sono, nei paesi cattolici, le manifestazioni della devozione popolare che ricordano la passione di Cristo.

Il digiuno, o quanto meno una qualche astensione dal cibo, è una delle forme per così dire più private a cui si sottopongono i fedeli. Ma accanto a questa rinuncia,  c’è un’altra manifestazione della fede, pubblica e direi spettacolare: si tratta delle processioni organizzate in tanti paesi e tante città d’Italia nel periodo pasquale e in particolare proprio nel Venerdì santo.

Le processioni raccontano la storia di quel paese dove si svolgono e dei sentimenti dei suoi abitanti nel tempo in cui furono create. Esse usano un linguaggio di gesti e di simboli, legati al tempo in cui la processione si svolge. Una delle più antiche e famose processioni, fra le innumerevoli che si svolgono nella penisola, è quella che dalla metà circa del Seicento coinvolge tutti gli abitanti dell’isola di Procida che è stata capitale della cultura 2022, e cioè la suggestiva processione con i cosiddetti Misteri -che rappresentano scene della Passione di Cristo, come i Misteri dolorosi del Rosario, o comunque scene ispirate alla sacra Scrittura- che si portano in processione insieme con la famosa statua del Cristo morto scolpita da Carmine Lantriceni (1728) e a quella dell’Addolorata.

Alla creazione e fattura di questi Misteri si sono prodigati per mesi molti procidani e soprattutto i cosiddetti “Ragazzi dei Misteri”.  La sua storia ci dice che questa processione all’inizio era una semplice processione di flagellanti che iniziò molto probabilmente poco dopo il primo trentennio del Seicento (epoca della rifondazione della congregazione dei Turchini che la organizza) e che per circa un secolo non comprendeva la statua del Cristo morto (che è datata, come si è detto, al 1728) e assai probabilmente nemmeno quella dell’Addolorata  (anch’essa settecentesca). Fu solo alla metà, circa, del Settecento, che  i Misteri presero più o meno definitivamente il posto dei flagellanti.

Quest’anno a Procida è in programma una novità: la presenza di una delegazione di donne che fanno parte del Museo delle Donne del Mediterraneo che nella processione porteranno per la prima volta un Mistero non solo ideato e realizzato solo da donne, e soprattutto ispirato ad una donna, la Cananea, che rappresenta una vera svolta nella storia della religione cristiana perché trasformò il cristianesimo, nato come una religione solo per gli ebrei, in una religione per tutti.  Le donne, vestite con l’abito della Pietà dei Turchini, presenteranno un quadro che rappresenta la Cananea, accompagnato dalla trascrizione delle parole che troviamo in Matteo, 15, 21-28. La scena è ambientata in Fenicia, nell’attuale Libano (“dalle parti di Tiro e Sidone”). Le poche righe di Matteo infatti mettono in risalto la fede e la costanza di una donna di Canaan che pregò Gesù di guarire la figlia, e, cosa che non ci saremmo aspettati, l’iniziale rifiuto che ricevette (“Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”) quasi a significare che la parola e i miracoli di Cristo si rivolgevano solo ai figli di Israele. Ma la risposta della donna fu una lezione per tutti , e quanto mai attuale: “È vero, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padron). Gesù, ammirato dalla fede della Cananea, e lodandola disse: Sia fatto come desideri

Ma qui vorrei soffermarmi anche su un’altra tradizione del periodo pasquale ben nota agli studiosi di antropologia e del folklore, quella dei devoti della Madonna dell’Arco, un paese alle falde del Vesuvio nel quale ebbe origine e sviluppo il culto che poi si estese in tutti i paesi vicini, e soprattutto nell’allora capitale del Regno, Napoli. A metà del Quattrocento, quando a Napoli si era insediata la monarchia aragonese, avvenne l’episodio, o piuttosto il miracolo che ebbe grande risonanza popolare. Dove ora sorge il santuario si trovava un’edicola votiva della Madonna. Il lunedì in Albis del 1450 era in corso una gara fra giocatori  il pallamaglio, che consisteva nel lanciare il più lontano possibile una sfera di legno colpendola con un maglio. Il tiro di uno dei giocatori sfortunatamente colpì l’albero di tiglio che si trovava sulla traiettoria nei pressi dell’edicola e gli fece perdere la posta in palio. Il perdente deluso per non essere stato da lei assistito, prese la palla di legno e la scagliò contro l’immagine della Madonna. Questa cominciò a sanguinare, la gente gridò al miracolo e la notizia si sparse per ogni dove. Il Gran Giustiziere del Regno, Raimondo Orsini, venuto a conoscenza dell’avvenimento, indisse subito un processo per blasfemia nei confronti del colpevole, che fu impiccato a quello stesso albero di tiglio. Ma avvenne un altro miracolo: l’albero rinsecchì il giorno dopo l’esecuzione e sul luogo venne eretto il primo nucleo dell’odierno santuario, diventato luogo di pellegrinaggio in particolare il Lunedì in Albis.

E fu proprio in questo fatidico Lunedì in Albis che si verificò quasi un secolo e mezzo dopo, un altro miracolo che accrebbe la risonanza del santuario della Madonna dell’Arco. Nel 1589 una contadina, Aurelia Del Prete, vi si recò con il marito che voleva ringraziare la Madonna con un ex voto per essere guarito da una malattia agli occhi, ma nella calca perse un porcellino che aveva portato con sé. La donna, adirata, calpestò bestemmiando l’ex voto del marito, e poco tempo dopo fu colpita da una malattia che le provocò il distacco dei piedi, tuttora visibili nel santuario in una gabbia di ferro. La voce popolare, come si legge nelle cronache del santuario, considerò la sua malattia e la perdita dei piedi come la giusta punizione per il gesto blasfemo che aveva compiuto. I turisti e i forestieri che stanno accorrendo sempre più numerosi a Napoli non di rado si sono imbattuti, sorpresi e divertiti, nella processione dei cosiddetti fujenti. Costoro, nel caratteristico vestito bianco azzurro e rosso, talvolta con sbandieratori, sono soliti marciare per le strade e i vicoli di Napoli accompagnati da una piccola orchestra ambulante, dove predominano gli strumenti a fiato e il tamburo.

Il lunedi in Albis

Mentre la denominazione di Venerdì Santo, il Good Friday degli inglesi non suscita interrogativi, meno chiara è quella del Lunedì in Albis o lunedì dell’Ottava di Pasqua, secondo il calendario liturgico, alias Lunedì dell’Angelo, vulgo Pasquetta. Le ultime due sono facilmente spiegabili: Pasquetta è la piccola Pasqua, dedicata in genere alle scampagnate fuori porta, se il tempo lo consente; il Lunedì dell’Angelo si richiama al passo del Vangelo di Marco che racconta come la Domenica di Pasqua (e non il lunedì) tre donne (Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e Salomè) si recarono alla tomba dove era sepolto Gesù per ungere il cadavere e non lo trovarono. All’interno della grotta invece c’era un giovane vestito di bianco, un angelo, il quale disse loro che Cristo era risorto. Tuttavia, nonostante l’evidente imprecisione cronologica, nel corso dei secoli si è imposta la commemorazione di questo incontro fra le donne e l’Angelo non nel giorno di Pasqua, quando sarebbe effettivamente avvenuto, ma in quello successivo. La denominazione di Lunedì in Albis nasconde anch’essa una discrasia cronologica, discrasie favorite da un lato, dalla trasformazione avvenuta nel passaggio tra il Sabato, giorno sacro per gli ebrei, e la Domenica, lett. “giorno del Signore” per i cristiani, dall’altro dalla maniera di contare i giorni tra due eventi dei romani (che contavano sia il giorno di partenza che quello di arrivo) ed il nostro. La denominazione fa riferimento all’antica usanza di battezzare i neonati, vestiti di bianco, nel giorno di Pasqua; il vestito bianco doveva essere indossato per una settimana.

Ma la settimana di Pasqua è interamente disseminata di una sacralità calendariale, è davvero il lungo tempo sacro per eccellenza. Non dimentichiamo ad esempio, oltre la sacralità del Venerdì, del Sabato , della Domenica e del Lunedì,  anche quella importantissima del Giovedì santo, la famosa Ultima cena, istituzione dell’Eucarestia, giornata che prevede anche la Lavanda dei piedi e anche  il meno conosciuto Mercoledì santo, anch’esso per lunghi secoli legato al Venerdì, cui si estendeva il precetto del digiuno, detto anche Mercoledì di Giuda, in cui si faceva penitenza per ricordare il più celebre tradimento di tutti i tempi, quello in cui giuda vendette Cristo  per trenta denari.

Antonino Londinium

Tag degli articoli
Condividi sui social network