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Rubrica di Emanuela Medi
 

Il tempo del Natale, i calendari

La storia del tempo del nostro Natale comincia prima della nascita di Cristo. Non nel senso che comunemente si intende, caro agli antropologi, che il Natale cristiano sarebbe la trasposizione della festa pagana del “Sol invictus” legata alla rinascita del sole con solstizio d’inverno, ma proprio nel senso preciso del tempo calendariale-astronomico della festa cristiana secondo il calendario voluto da Giulio Cesare.

Giulio Cesare

Nel 46 a. C. Giulio Cesare, che aveva solo ancora due anni da vivere (sarà pugnalato in Senato nel 44), si fece promotore, nella sua qualità di Pontefice Massimo, della riforma del calendario. Una schiera di studiosi, capeggiati dall’alessandrino Sosogene, elaborò il complesso calcolo per suddividere la durata dell’anno, vale a dire quello che è, come sappiamo, il tempo impiegato dalla terra nel suo giro attorno al sole, in una misura che corrispondesse anno per anno senza squilibri alla reale situazione astronomica. L’operazione, almeno per i primi tempi, riuscì: la regolarità delle stagioni sembrò raggiunta, ma c’era un piccolo trascurabile fattore, un’inezia a prima vista, e cioè che ogni anno il calendario -detto “giuliano” proprio da Giulio Cesare- produceva uno scarto di circa undici minuti rispetto all’anno solare medio.

Le imprecisioni del calendario giuliano, qualche secolo dopo la sua promulgazione, erano già state sottolineate da Tolomeo, e così nei secoli si susseguirono le osservazioni dei dotti intorno a questo problema. Anche Ruggero Bacone, il frate francescano inglese vissuto nel XIII secolo a cui fu dato il nome di Doctor Mirabilis, ne parlò.

Nel corso degli anni si fece sempre più evidente la necessità di procedere alla riforma dell’ormai inadeguato calendario, che, sebbene avesse rappresentato per i suoi tempi un’ottima soluzione, col passare dei secoli e l’accumularsi delle ore e dei giorni (a partire dagli 11 minuti circa dell’epoca di Cesare) di ritardo si era rivelato bisognevole di correttivi. 

Il ritardo, che all’inizio era poca cosa, nel tempo aumentò tanto che le tradizionali date di solstizi e equinozi risultavano alterate di ben dieci giorni nel 1582, anno in cui il Papa Gregorio XIII, preoccupato per il calendario liturgico che doveva stabilire il giorno in cui dovesse cadere la Pasqua – che come si sa è una festa mobile e deve cadere per forza di domenica dopo il plenilunio  di primavera- decise di procedere alla riforma del calendario giuliano, saltando i giorni dal 4 al 15 ottobre.  Fu una decisione straordinaria perché si decise di sopprimere, nella vita reale di tutti i comuni mortali, dieci giornate. Non si poteva “teoricamente” tener conto, né dei nati, né dei morti, né di viaggi né delle feste, insomma era come se per dieci giorni non fosse successo nulla, come se una sorta di vuoto cosmico si fosse abbattuto sul mondo.

calendario-gregoriano

Calendario gregoriano

Non sappiamo che fine fecero le cambiali in scadenza, gli appuntamenti o i duelli fissati in precedenza, gli impegni presi per questioni o affari importanti, senza parlare degli spettacoli che le compagnie avevano previsto. Ma il peggio era che tutto ciò fosse accaduto, così si pensò nei paesi protestanti come in quelli del mondo ortodosso, per ordine del papa.

Chi era il papa che poteva permettersi di ordinare al mondo di cancellare dieci giorni del calendario? Quale autorità egli aveva per poter far una cosa del genere? Non dimentichiamo che non solo tutta la Chiesa ortodossa, -da quella greca a quella russa, a quella etiope, solo per citarne le più importanti- ma praticamente quasi tutta l’Europa dell’est, proprio contro il principio che l’autorità del papa fosse superiore a quella dei primati delle varie Chiese, si era separata, già da cinquecento anni da quella che si presumeva “cattolica”, cioè universale. Né possiamo dimenticare che proprio il Cinquecento aveva assistito alla dolorosa separazione che aveva attraversato ancora una volta l’Europa separando più o meno quella del sud, rimasta fedele al papa, da quella del nord passata alla Riforma.

Sta di fatto che il calendario gregoriano, mise ancora una volta, come suol dirsi, il dito nella piaga dell’autorità papale, e, accolto più o meno rapidamente dai paesi cattolici, presso quelli protestanti e ortodossi, ancorché cristiani, incontrò opposizioni e difficoltà prima di essere accettato quasi universalmente come oggi è.

In effetti per ragioni puramente ideologiche ci furono due calendari in Europa per più di un secolo, e i cristiani celebrarono il Natale a dieci giorni di distanza, per cui, ad esempio, se un italiano si trovava a Londra il 25 dicembre, non avrebbe potuto seguire la liturgia del Natale, perché quello era, come si diceva allora, un paese che era degli “gli infedeli”. Insomma, proprio il giorno del Natale che sarebbe dovuto essere giorno di amore e di pace, era occasione per rinfocolare odio e inimicizia, perché “i nemici della Chiesa di Roma” non volevano adottare una misura così importante accodandosi all’odiato pontefice. Di conseguenza l’Europa del Nord, luterana o calvinista, aspettò più di un secolo prima di accettare il calendario gregoriano, gli inglesi si decisero solo nel 1752, e il resto del mondo, dal Giappone alla Cina, dall’Egitto alla Turchia si adeguò a poco a poco.  

E, col tempo, nonostante da un punto di vista scientifico ogni preclusione ideologica fosse stata superata, in quanto il calendario di papa Boncompagni era stato riconosciuto valido anche da Stati e popoli che continuavano ad essere ostili al papa o lontani non solo dal cattolicesimo ma anche dal cristianesimo, il mondo ortodosso, pur accettando nella vita quotidiana il nuovo calendario, preferì lasciare inalterate, paradossalmente, le date della liturgia della loro tradizione: per molte Chiese il Natale si festeggia in quella data che per noi è il 7 gennaio, e non il 25 dicembre, esclusa la chiesa ortodossa greca e quella romena, che si sono adeguate a quelle occidentali, mentre diverse chiese nazionali ortodosse come Ucraina e Bielorussia festeggiano due volte Natale, sia il 25 dicembre che il 7 gennaio, costringendo Babbo Natale a fare gli straordinari … e soprattutto le loro donne a far i dolci natalizi.

Comune e viva tuttavia è la tradizione che i fedeli nel periodo che precede il Natale osservino forme di digiuno per ben quaranta giorni, come la Quaresima a Pasqua. Ma se persistono ovunque le tradizioni locali rituali e gastronomiche, bisogna aggiungere che le relazioni commerciali sempre più strette fra i vari paesi e l’industria alimentare che si è specializzata in alcune produzioni tipiche hanno sancito che sulle tavole imbandite a Natale non possa mai mancare il panettone o il pandoro, due prodotti dell’eccellenza gastronomica del nostro paese.
Con buona pace, non solo di Papa Gregorio, ma pure dell’altro, antico Pontefice massimo, Giulio Cesare. Non dimentichiamolo quando taglieremo, questo anno, il nostro panettone.

Gea Palumbo

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Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.