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Rubrica di Emanuela Medi
 

Ovada Revolution: la rinascita del Dolcetto riparte da qui…

Per rivoluzionare Ovada occorre innanzitutto sconfessare tutti i pregiudizi che sminuiscono la reputazione del Dolcetto, vitigno erroneamente reputato di “serie B” e solo sporadicamente esplorato in tutte le sue possibilità.

Questo è il messaggio forte e chiaro che i vertici della Ovada DOCG – denominazione monferrina interamente dedicata a questo vitigno – hanno voluto comunicare nel corso di “Ovada Revolution“, degustazione condotta dai vulcanici Fede e Tinto di Decanter Radiodue in occasione di Vinitaly 2019.
A sei vini ovadesi serviti alla cieca è stato attribuito il compito di mostrare ciò che il Dolcetto ha da offrire in termini di ricchezza, equilibrio e longevità, sfatando in questo modo i dogmi derivanti dall’uso sbagliato  che se n’è fatto in passato, quando era destinato alla produzione di indecorosi vini da mercato o da osteria, spesso basati sull’immagine fuorviante resa dal nome, che sembra alludere a criteri di leggerezza, fragilità ed ostentata dolcezza mai riscontrabili nelle migliori interpretazioni.

A Ovada, avamposto piemontese a due passi dal confine con la Liguria, il Dolcetto c’è da sempre e da sempre dona vini polposi e al contempo suadenti, riflesso tangibile di un terroir nato dall’incontro tra le brezze del Mar Ligure e il dolce profilo collinare dell’Alessandrino. Ne parlava già Mario Soldati, illustre giornalista e saggista che in Vino al Vino,opera antesignana dell’odierna comunicazione vinicola, lo descriveva come Dolcetto di maggior profumo, maggiore gradazione, maggiore densità e maggiore possibilità di invecchiamento (rispetto al gemello langarolo)”.
Tuttavia, la rinascita commerciale della denominazione, la quale può fregiarsi della “G” dal 2008, è storia assai recente. Italo Danielli, presidente del Consorzio, ha evidenziato a questo proposito l’opera di riforma perpetrata nell’ultimo decennio dai trentasei produttori aderenti al Consorzio, molti dei quali erano presenti in sala a spalleggiare i loro vini. ”I nostri vini- ha voluto precisare il Presidente-  hanno la caratteristica di godere di una importante longevità anche  12 anni con una produzione nel 2018 di centomila bottiglie aumentata del 25%  rispetto l’anno precedente.  Siamo una denominazione piccola  che ha fatto del Dolcetto la sua punta di diamante ma questa presenza, la prima a Vinitaly, è stata molto ben accolta ”Gioventù, grinta e intraprendenza sono le migliori caratteristiche di questi nuovi esponenti dell’areale, che con grande entusiasmo si sono fatti carico dell’eredità tramandata di generazione in generazione, volendo fare breccia nel cuore di esperti ed appassionati con il gusto non omologato dei loro prodotti di stampo tradizionale.

Che questi coraggiosi artigiani abbiano la stoffa necessaria per affermarsi a livello globale lo si evince dal fulgore trasmesso da questi assaggi avvincenti – a tratti struggenti –e invero capaci di rendere l’immagine incantevole di un territorio sospeso tra le brume dell’entroterra e la luce confortante del bacino mediterraneo.

N.B. Il consorzio ha deciso di non specificare il nome e l’azienda dei singoli vini per non far torto a nessuno. Ad ogni modo, erano presenti alla rassegna i produttori Alvio Pestarino, Bretta Rossa, Ca del Bric, Ghio, Ghera e Cascina Gentile.

 

Degustazione:

 

2017 – Giovanilmente violaceo nella veste quasi impenetrabile, esala profumi ancora in fieri di gelso maturo, violetta e bacche rosse, presto arricchiti da una sfumatura suadentemente mediterranea di mirto ed alloro. Un guizzo di acidità squillante sposa le ben calibrate morbidezze fruttate, dando vita ad un sorso energico, affabile, misuratamente alcolico e particolarmente goloso.

2016 – Il colore vira verso tonalità leggermente più cupe ed il naso appare meno gioviale ma più profondo. Un tocco fumé incornicia aromi di fragola selvatica, china e pepe rosa, tra i quali s’insinua un leggero ricordo terroso. In bocca il tannino è ruspante, la parte alcolica pronunciata ma non fastidiosa. Il frutto, dolce e scuro, rimpolpa la beva e addomestica le asperità veraci.

2011 – Esplosivo, ammaliante sin dal primo naso. Dà sfogo ad ampio corredo di visciola, liquore alle more, cacao e spezie dolci, rivelando in seconda battuta una sfumatura pietrosa quasi “nebbiolesca”. Gaudente e croccante nel connubio di frutto, acidità e tannino vellutato, sfuma lento su toni salini e grafitici, distinguendosi per eleganza e armonia d’insieme. Chapeau!

2004 – Una vena alcolica appena sopra le righe amplifica un bouquet imperniato su toni di creme de cassis, cuoio, arbusti bruciati, tabacco e tè nero. Sensazioni concordanti riecheggiano in un gusto caloroso, a tratti un po’ rustico, ma insolito ed ammiccante nel vigore quasi campestre del suo tannino ancora incalzante. Chiude terroso, non dissimulando affatto la sua età, ma dimostrando di avere ancora parecchio da offrire.

1998– Scarico nell’olfatto e marcato da una traccia ossidativa un po’ insolente, disvela con grande veemenza sensazioni quasi liquorose di boero, nocino, tabacco dolce e crema di caffè. Se lo si estrapola dal contesto e lo si considera alla stregua di un Porto, si può restare ammaliati dalle sua decadente complessità aromatica, peraltro ben supportata da un’acidità ancora vivida. Sarebbe magnifico goderselo a fine pasto o in meditazione.

1991– Spiazzante, caleidoscopico, pungente e al contempo disteso. Emana odori intensi di tartufo, felce, tamarindo, cenere e tintura di iodio che s’intrecciano in un bouquet penetrante, coinvolgente, suffragato da accenti mediterranei di erbe essiccate. Esotico, quasi umami nei rimandi al pomodoro secco, disserra tannini irrefrenabili e acidità portentosa per la sua età, epilogando con un tocco di sapidità sanguignache prolunga un finale di commovente mordacità.

Raffaele Mosca, Master Sommelier

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