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Rubrica di Emanuela Medi
 

Calendari e Lunari: un racconto per misurare il tempo lungo millenni.

L’ultimo mese dell’anno porta inevitabilmente con sé riflessioni e osservazioni che ci coinvolgono, invitandoci ad interrogarci su quello che è da sempre uno dei temi più difficili e affascinanti: il tempo.

Il tempo, però, sul quale ci interroghiamo ogni fine d’anno, è un tempo in cui la dimensione cosmica si incontra con una dimensione assai più modesta e “umana”che esprime le nostre esigenze di dominarlo, addomesticarlo, piegarlo sia alle necessità della vita, del lavoro,del riposo, della festa, ma anche, non meno essenziale, a quelle della ripetizione e del ricordo.

Perché il calendario non esprime solo il tempo lineare, che ci fa avere ogni anno un anno in più, e ci porterà inevitabilmente alla fine della vita, ma esprime anche il cosiddetto tempo ciclico che sempre ritorna uguale.

Il calendario, infatti, sia riportando feste sempre uguali secondo l’anno liturgico, sia annotando un giorno dopo l’altro la serie delle opere da farsi in campagna secondo le varie fasi della luna (chiamato perciò Lunario), esprime un antichissimo senso del tempo che ogni anno si ripete sempre uguale: sempre le stesse feste, sempre gli stessi lavori stagionali. Il calendario esprime dunque proprio quell’idea del tempo che passa e ritorna in un cerchio infinito che lega, in un orizzonte di tempo cristiano, ad esempio, l’Annunciazione (25 marzo) al Natale (25 dicembre) nove mesi dopo; l’Immacolata concezione (8 dicembre) alla nascita di Maria (8 settembre) nove mesi dopo; il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera alla Pasqua, prima domenica successiva a quello e così via.

Il calendario, insomma, per secoli ha significato per tutti, prima ancora che l’insieme dei giorni della settimana e dei mesi, l’elenco, per la durata di un anno, di tutte le feste dei santi,cioè le ricorrenze di quel testo sacro che chiamiamo Santorale. E queste feste sostituivano, sia nei documenti ufficiali che nei proverbi e nei detti popolari,assai frequentemente, le vere date. Tutti dicevano e scrivevano, ad esempio, “acquistammo la casa nel giorno di Santa Lucia”, invece di dire “acquistammo la casa il 13 dicembre” e così via. Anche i proverbi ricordavano “Santa Lucia è il giorno più corto che ci sia”, perché assai prossimo, soprattutto prima della riforma gregoriana, al solstizio di inverno (21 dicembre). Le consuetudini volevano che i contratti si rinnovassero a San Martino (11 novembre), che il giorno di San Sebastiano (20 gennaio) fosse il più adatto alle previsioni del tempo per la fine dell’inverno (Corso di agricoltura pratica ossia ristampa dei Lunari… t.V, Firenze 1790).

Il calendario, nei vari paesi del mondo e nelle varie culture e religioni, inizia il suo racconto sacro usando il linguaggio universale dei numeri, ma poi si differenzia contando, con questi numeri, tempi, spazi, ricorrenze, assai differenti e distanti.

Tra un numero e un altro del mese, nel calendario cristiano si inseriscono quei nuclei narrativi che conferiscono a quel giorno la sua santità e il cui senso è appunto quello di legare il tempo quotidiano a quello universale ed eterno di Dio: la festa del santo è(tranne pochissime eccezioni) quel punto nel tempo in cui il santo chiuse con la morte il tempo effimero della sua vita terrena e, secondo la Chiesa, incominciò a vivere la sua vera vita nella gloria eterna, cioè il giorno della morte del santo o della santa.

I calendari misurano il tempo con misura umana, e lo strumento della misurazione, come accade assai spesso, non è neutrale. E ciò appare subito, appena riflettiamo sulla variabilità, sulla relatività stessa, ad esempio, dell’inizio del tempo dei vari calendari, anche soltanto all’interno delle tre religioni mediterranee.

Il cristianesimo ben presto romanizzato ancor oggi misura l’anno dal primo gennaio (datazione in uso nel calendario romano dal 153 a.C.), alla maniera del calendario di Giulio Cesare, modificato poi da papa Gregorio XIII (1583).Non tutti i cristiani tuttavia accettarono queste modifiche papali, né usarono il calendario di Cesare che cominciava a gennaio. E se buona parte della Chiesa ortodossa, come si sa, rifiutando la riforma gregoriana, festeggia ancor oggi il Natale in gennaio, alcuni stati della stessa penisola italiana avevano altri “Capodanni”. Basti fare solo l’esempio più noto della Repubblica fiorentina che segnava l’inizio dell’anno ab incarnatione Domini, vale a dire il 25 marzo, Annunciazione.

Ma differenze certo più rilevanti si trovano al di fuori del mondo cristiano: il calendario ebraico fa iniziare ancora oggi l’anno in autunno, e non il primo gennaio, perché secondo le interpretazioni rabbiniche della Bibbia, il mondo, e quindi il tempo, erano stati creati in autunno.

Il tempo, insomma,nella filosofia ebraico-cristiana, non era sempre esistito, ma era appunto cominciato con la creazione. Dunque per comprendere qual era davvero l’inizio del tempo, col quale far ricominciare ogni anno il calendario, occorreva stabilire quando, in quale stagione era stato creato il mondo: quando Dio aveva creato il cielo e la terra, quando aveva creato il sole e le stelle, quando aveva posto Adamo e Eva nel paradiso terrestre con le sue piante -ecco il punto centrale- e i loro frutti? Se il frutto proibito era ad esempio il pomo, cioè la mela, il calendario non sarebbe potuto iniziare che in autunno perché in autunno si trovano sugli alberi le mele. Ecco perché alla fine si decise che il calendario ebraico doveva cominciare in autunno.

Altri problemi  presenta il calendario islamico, che inizia con l’Egira, l’uscita del Profeta Maometto dalla Mecca e il suo trasferimento a Yathrib (Medina)(corrispondente al 622 del calendario giuliano)fu regolato soprattutto sui mesi lunari, più brevi di quelli solari, e la cui durata, generalmente regolata dall’avvistamento della prima falce di luna nuova,è variabile, ecco che l’inizio dell’anno cambia nel tempo, rispetto al calendario gregoriano che è invece di tipo solare.

Calendari più o meno “laici”, tentarono in varie occasioni, in Europa, di strappare alla Chiesa il suo antico dominio sul tempo, ma, come si può comprendere soprattutto dall’effimera vita del calendario della Rivoluzione Francese, non ebbero duraturo successo  .La riforma del calendario non fu affatto gradita,non solo perché rinominava i mesi, ma soprattutto perché eliminava una delle divisioni del tempo più consolidate, la biblica settimana. Il calendario rivoluzionario, al posto della settimana, stabilì un periodo di dieci giorni, e al posto della domenica, impose la festa del décad ogni dieci giorni. Tutto ciò sconvolse la vita dei francesi… Del resto, come dar loro torto se, vedendo prolungarsi,con questo cambiamento,il tempo del loro lavoro ben oltre i sei giorni dopo i quali persino Dio aveva deciso di riposarsi- si ribellarono?

Dunque ancora oggi potremo ritrovare,proprio sfogliando antichi Calendari e Lunari, tutta la bellezza di questo grande patrimonio di interpretazioni del tempo che ha tentato per secoli di unire il cielo e la terra,i lavori dei campi e i movimenti della luna, i santi del cielo e i poveri della terra.

Antonio Di Fiore

 

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