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Rubrica di Emanuela Medi
 

E’ il Monferace, il Grignolino del Monferrato Casalese doc e d’Asti doc

E’ una scommessa tutta monferrina quella che punta sul recupero, in termini di posizionamento e di potenzialità, di un vitigno autoctono, il primo ad essere citato in Piemonte (1249), sul quale un gruppo di 13 produttori sta investendo da 10 anni.

E’ il Monferace, il Grignolino del Monferrato Casalese doc e d’Asti doc affinato nel rispetto di un rigoroso protocollo interno all’omonima Associazione, che si piazza con dignità nel panorama dei grandi piemontesi, distinguendosi per caratteristiche sue proprie. Un vino che “non assomiglia a qualcos’altro”, ma che “sa di Grignolino!”.
Se ne è parlato lunedì 2 ottobre al Castello di Ponzano in occasione dell’ultima edizione di “Monferace 2019 en primeur”, alla presenza della ricercatrice del CNR dell’Unito Anna Aschneider, del ricercatore del Centro di Ricerca per l’Enologia (CREA) Maurizio Petrozziello, dell’enologo Mario Ronco, del Direttore ed Editore di Civiltà del Bere Alessandro Torcoli e del Presidente Ais Piemonte Mauro Carosso.

L’analisi

L’analisi  è partita dalla recente esplorazione del profilo aromatico di due annate di Monferace (2012 affinato per 4 anni e 2015 affinato per 2) a cura del Crea, attraverso la quale sono stati evidenziati aromi spiccati che, nella loro commistione, rendono unico il Monferace. Parliamo di: floreale, rosa/viola, ciliegia, frutti di bosco, prugna, marmellata/caramello, vegetale secco, boisée e speziato, rispetto ad un vino rosso granato con riflessi aranciati. Tra i più importanti composti volatili aromatici, vi  è l’identificazione del sotolone, molecola dall’aroma di pepe, che conferma quanto l’analisi organolettica aveva già messo in evidenza

Per migliorare la qualità dei vini Monferace si è quindi partiti dallo studio dei precursori d’aroma, importanti per la caratterizzazione varietale, per scoprire gli aromi potenziali in conservazione e anche dal punto di vista organolettico per la sensazione di persistenza in bocca. Messi a raffronto Nebbiolo (Barolo) e Monferace, le differenze tra Benzenoidi, Norisoprenoidi e Terpeni sono risultate minime.
Ma ad influire sul risultato aromatico è anche l’andamento climatico. Campionate 4 diverse annate sono risultati vini: “molto concentrati e maturi” nel 2017, “maturi pronti e larghi” nel 2018, “importanti ed equilibrati” nel 2019 e “concentrati” nel 2021.

Vendemmie

Il primo anno di produzione Monferrace è stata la vendemmia 2015 (anche se vi sono stati esperimenti precedenti). La resa media del Monferace è di 44,23 hl/ha. In cantina, riposa almeno 40 mesi, di cui 24 in botte di legno, per diventare Monferace. L’ipotesi del picco evolutivo e del potenziale invecchiamento si attesta nei 20 anni, ma c’è chi dice anche 40, “per ora è presto a dirsi”. Attualmente, il mercato principale del Monferace è il Piemonte, seguito dalle Regioni limitrofe e dal Lazio, ma è anche esportato in Belgio, Olanda, Danimarca ed Estremo Oriente, oltre che in Australia e in Canada. Il prezzo, invece, si attesta tra i 16-18 euro e i 45 euro al pubblico.

Vigneti

Tra i vigneti storici, vi sono: Cascina Faletta 1936, Accornero 1961, Tenuta Santa Caterina 1973 e Sulin (45 cloni impiantati nel 2020 da una selezione su 164 piante madri). Oltre a Faletta, Accornero, Santa Caterina e Sulin sono soci: Angelini Paolo, Tenunta la Fiammenga, Alemat, F.lli Natta, Hic et Nunc, Tenuta La Tenaglia, Cinque Quinta, Liedholm e Vicara.

Chiara Cane, giornalista

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