Sotto il nome del più famoso medico dell’antichità, al quale si deve anche il celebre giuramento, Ippocrate (460-377 a. C.), ci è stata tramandata una serie di scritti che, passati nel mondo latino (taluni con incerta attribuzione), compongono il cosiddetto Corpus Hippocraticum.
L’autore si occupò degli effetti del vino da un punto di vista strettamente fisiologico, senza alcun riferimento ai vini di questa o di quella zona, a quelli più o meno apprezzati e più o meno celebri, ma “al vino in sé”; dunque, anche se il suo trattare del vino in generale può prestare il fianco a qualche critica, il suo pensiero, che ha avuto un’influenza plurisecolare, sembra l’ideale per introdurre una ricerca “sul vino”. Infatti, se è vero che come affermava Hegel, di notte tutte le vacche sono nere, così, pur non potendo certo sostenere che tutti i vini sono uguali, dobbiamo cercare di cogliere anche le caratteristiche salutari presenti in tutti i vini e saperle sfruttare al meglio per la nostra salute. Del resto il medico non intendeva scrivere un trattato di enologia, ma di medicina.
Un primo accenno interessante di Ippocrate alle caratteristiche mediche dei vini lo troviamo in un passo del Trattato della dieta salubre, 12:
“Quelli che sono in preda alla sete, devono astenersi dal mangiare e dalla fatica, e prendere del vino annacquato e il più possibile freddo”. (At quos sitis occupat, iis cibi et labores subtrahendi, et vinum, tum aquosum, tum quam maxime frigidum propinandum). La precisazione vinum aquosum non è superflua. I Greci erano abituati a mescolare il vino con l’acqua, contrariamente alle popolazioni barbariche che invece lo bevevano puro. Questa abitudine si spiega anche coi climi freddi da cui provenivano quelli che venivano chiamati barbari, e che trovavano troppo diluito, poco alcoolico e tonico l’annacquato nettare di Bacco.
Ma è nel secondo libro del De victus ratione (pp. 49 ss.), che Ippocrate parla più distesamente del vino, sia pure senza fare, per così dire, nomi. Ecco il testo di una vecchia edizione del Corpus:
Egli comincia prendendo in considerazione i vini caldi e secchi: “Il vino caldo e secco è anche in qualche modo purgativo a causa della stessa composizione dell’uva” (Vinum calidum et siccum habet et purgans quidam e materia).
Poi è la volta dei vini neri asprigni:“I vini neri e aspri disseccano maggiormente, non vengono espulsi facilmente e neanche agevolano urina e sputi, ma se vengono bevuti assorbono l’umidità del corpo e vi immettono calore)” (Vina nigra et austera sicciora sunt, neque per alvum secedunt, neque urinam aut sputum morent, sed corporis humiditatem absumendo siccant, et caliditatem inferunt).
I vini neri “morbidi” sono decisamente considerati positivamente: “Quelli neri, più morbidi al palato, contengono maggiore umidità, favoriscono flatulenze e risultano più lassativi” (Mollia nigra humidiora sunt, et flatus excitant, alvumque magis dejiciunt). Per quelli neri più dolci egli mostra qualche perplessità: “I vini neri dolci contengono anch’essi più umidità, tuttavia producono calore e provocano flatulenze col ristagnare dell’umidità stessa” (Dulcia nigra humidiora sunt, calefaciunt autem, et inflant, cum humiditatem inducunt.).
Col linguaggio franco e scientifico del tempo che chiama le cose col proprio nome senza metafore e abbellimenti retorici, Ippocrate dichiara anche le qualità sia dei vini bianchi aspri, sia dei vini novelli, sia dei vinelli leggeri e dolci: “I vini bianchi e aspri riscaldano, favoriscono l’urinare e il defecare” (Alba vero et austera calefaciunt, magis autem urinam movent, quam alvum dejiciant). “I vini novelli favoriscono di più la defecazione, perché sono parenti stretti del mosto, e, se sono della stessa annata, quelli che profumano sono nutrienti più di quelli che non profumano, e si digeriscono più facilmente, e quelli densi meglio di quelli leggeri” (Vina recentia alvum magis movent, quod musto sunt propiora, et nutriunt, item odora magis quam inodora eiusdem aetatis, quia facilius concoquuntur et crassa quam tenuis). “I vini leggeri dolci favoriscono l’urinare e l’andare di corpo, perché sono lassativi, rendono meno impetuoso il flusso del sangue, pur accrescendo quello contrapposto nel corpo”. (At tenuis dulcia urinam magis et alvum movent, corpusque humectant, et sanguinem imbecillum reddunt, cum adversarium corpori sanguinem augeant).
Il Corpus ci illumina anche sul famoso “mosto”, tanto caro ai contadini “Il mosto produce flatulenza, fermentando nel ventre lo smuove e favorisce la defecazione. E produce flatulenza perché riscalda; favorisce l’andare di corpo perché è purgativo; fermentando nell’intestino lo smuove per l’espulsione”. (Mustum flatum movet et subducit, turbationemque in ventre suo fervore excitat, alvumque dejicit. Flatum quidem movet, quod calefacit; e corpore autem subducit, quia purgat; cum vero in ventriculo ferveat, turbationem excitat, et alvo secedit).
L’antico medico specifica dettagliatamente anche le qualità dei vini acidi: “I vini acidi raffreddano, indeboliscono, e umettano. Raffreddano e indeboliscono perché tolgono l’umido dal corpo, ma tuttavia inumidiscono perché insieme al vino nel corpo entra l’acqua” (Vina acida refrigerant, extenuant et humectant. Refrigerant quidem et extenuant, quod humidum a corpore educunt; humectant autem, quod aqua una cum vino ingreditur).
E infine, in omaggio alla teoria generale del caldo e del freddo, di cui è cultore, Ippocrate fa riferimento anche all’aceto:
“L’aceto raffredda perché assorbe l’umidità del corpo e costipa il ventre più di quanto lo sciolga, perché è poco nutritivo e aspro” (Acetum refrigerat, quod corporis humidum colliquando absumit magis autem alvum sistit quam dejicit, quia minime alit et acre est).
Come si vede, Ippocrate non loda né disprezza alcun vino, ma semplicemente descrive con distanza e pacatezza gli effetti di quel prototipo “vino ideale”, direi platonico, della bevanda di Bacco. Il fatto che non faccia riferimento a nessuno specifico vino è molto interessante perché ci fa comprendere proprio quegli aspetti generali del vino che sovente noi oggi, ammalati un po’ tutti anche dalla pubblicità, tendiamo a trascurare. Eppure è difficile credere che egli, celebre com’era, non abbia preso parte a banchetti e simposi, dove si dovevano decantare le lodi di questo o di quel vino. Ma forse, non facendo pubblicità a nessun vino, egli operava una netta distinzione tra lavoro e svago, piacere e dovere.
(Giacomo Mezzabarba)