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Rubrica di Emanuela Medi
 

Biblioteche antiche, libri, roghi

Secondo la testimonianza di Isidoro di Siviglia (560-636 d. C.), vescovo della capitale andalusa dalla fine del secolo alla morte, “presso i Greci il primo a fondare una biblioteca si crede sia stato Pisistrato” (Apud Graecos autem bibliothecam primus instituisse Pisistratus creditur; Etymologiae, libro VI, III, 3).

L’affermazione di Isidoro relativa all’istituzione di una biblioteca da parte di Pisistrato, vissuto circa mille anni prima di Isidoro, dal 600 al 527 avanti Cristo, già conosciuta da Cicerone, è certamente vera, ma, come suggerisce Luciano Canfora (Le biblioteche ellenistiche, in G. Cavalllo, a cura di, Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Roma-Bari, Laterza 1988, pp. 3-28, citazione p. 5) a patto che con il termine “biblioteca” non si intenda ciò che intendiamo noi oggi.

Pisistrato fu non solo il tiranno di Atene che raggiunse il potere con spregiudicatezza, servendosi di inganni, raggiri e violenze, ma anche un uomo amante della cultura e delle arti: è probabile che l’Iliade e l’Odissea forse non sarebbero giunti fino a noi se egli non avesse ordinato la trascrizione su papiro dei due poemi omerici facendoli ordinare in tanti libri identificati con le lettere dell’alfabeto, di questo infatti probabilmente si tratta quando si parla della sua istituzione di una “biblioteca”.  Sarà soltanto il mondo romano che trasformerà in senso molto più vicino al nostro il concetto di biblioteca, aprendone davvero le porte alla fruizione pubblica.  Ciò appare soprattutto con la Biblioteca Ulpia che fu posta nel Foro Romano al di qua e al di là della Colonna di Traiano.

Quello che interessa in questa sede è che già la “biblioteca di Pisistrato” doveva essere così interessante da suscitare l’interesse di Serse, che volle risparmiare dall’incendio quella raccolta e trasferirla in Persia, quando le sue truppe appiccarono il fuoco a Atene nel 480 a.C. Questo fatto dimostra che i libri erano comunque già considerati un valore all’epoca delle guerre persiane, perfino dai nemici, e lo sarebbero stati ancora di più in futuro. Contrariamente a quanto sarebbe avvenuto frequentemente in seguito nella storia dell’umanità.

Il primo importante rogo di libri di una lunga serie avvenne proprio agli albori del cristianesimo, nel 54 d.C., quando san Paolo, secondo la più diffusa interpretazione se ne fece promotore (Atti degli Apostoli, cap. 19), o almeno, consentì che alla sua accusa nei confronti della magia seguisse un rogo dei libri di quell’argomento. Si trattava ufficialmente di libri di arti magiche, ma in realtà la catasta di libri avvolti nel fuoco comprendeva con ogni probabilità anche scritti pagani ostili alla religione dei seguaci di Cristo o considerati blasfemi. Un disegno di Gustave Doré mostra la scena che già era emblematica, perché oggetto di svariate tele o incisioni. Ma la più famosa e per così dire “ufficiale” incisione del rogo dei libri è quella che compare nell’Indice dei libri proibiti del 1665 di papa Alessandro VII, dove l’indice di san Paolo che mostra il rogo di libri vale a costituire una giustificazione diretta e autorevole dello stesso Index librorum prohibitorum romano.

Peisistratos

Oggi consideriamo il pluralismo un valore da salvaguardare, la differenza di opinioni una espressione della democrazia, la diversità qualcosa da accogliere e non da distruggere, ma la lezione della storia è che ogni evento va inserito nel suo contesto. E il contesto storico che troviamo negli Atti degli Apostoli non è solo quello della primitiva comunità cristiana, del mutuo soccorso, della carità e solidarietà verso i poveri, le vedove e gli orfani, ma è anche quello di una società che doveva ben stabilire i limiti tra credenti e non credenti e dunque, da un lato condannare le credenze contrarie, ma dall’altro anche usare una rigidità che oggi ci sembra davvero eccessiva all’interno delle comunità dei fedeli, come  dimostra, sia detto tra parentesi, l’episodio di Anania e Saffira. La società e l’organizzazione che si va delineando negli Atti degli Apostoli è quella che contiene già in nuce una intolleranza che sfocerà nei secoli in altri roghi, non solo di libri ma anche di dissidenti, attraverso gli appositi, temibili tribunali inquisitoriali.

Intolleranza, che, occorre dirlo, riguardava più in generale, tutto il sistema della giustizia e tutti i tribunali, quelli laici non meno di quelli ecclesiastici. I roghi di libri non sono appannaggio della sola intolleranza religiosa, ma anche di quella politica, delle dittature che per definizione soffocano ogni dissidenza.

Si tramanda -ma molti non concordano con questa tradizione, limitandosi a sostenere che gli arabi probabilmente furono semplicemente responsabili di danni alla biblioteca, ma non della sua distruzione- che nel 642 il califfo Omar ordinò al comandante delle sue truppe che la biblioteca di Alessandria venisse data al fuoco, perché se in essa vi erano libri che contenevano pagine contrarie al Corano, era giusto che fossero bruciati, e se invece no, erano superflui, essendo sufficiente per i fedeli appunto il Corano.

Gli stati o le società che si fondano sulle dittature e sul terrore prendono di mira i libri oltre che le persone dissidenti, perché le persone si possono torturare o uccidere, ma paradossalmente i libri possono essere ancora più pericolosi, perché sono in grado di contagiare tutti quelli che li leggono.

In un romanzo di fantascienza scritto da Ray Bradbury e uscito nel 1953, Fahrenheit 451, con una trasposizione cinematografica nel 1966 di François Truffaut dall’omonimo titolo, in una società non ben precisata ma chiaramente una occhiuta dittatura (l’autore aveva presente i roghi dei libri dei libri messi in opera dal regime nazista) le autorità hanno decretato che nessun libro ha diritto di esistere, e che possedere libri è un reato da punire col rogo del libro e della casa del possessore. A tale funzione si dedica una apposita milizia sui generis di vigili del fuoco, i quali non spengono il fuoco, ma al contrario lo appiccano. Per aggirare il decreto i dissidenti decidono che ognuno impari a memoria i brani di un libro, il quale dunque sopravviverà al rogo, perché presente nelle coscienze e non solo nella carta, mettendo un argine al progressivo imbarbarimento dell’umanità. 

Antonio Di Fiore

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