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Rubrica di Emanuela Medi

PARTESA, Azienda leader nei servizi di vendita, distribuzione, consulenza e formazione del canale Ho.re.ca., ha organizzato nei giorni 20 e 21 Marzo u.s. WINE CUBE, un Evento interamente dedicato al mondo del vino.

Una due giorni che ha raccolto un folto pubblico di addetti del settore nella bellissima cornice del Salone delle Fontane dell’EUR.

TASTING, FORMAZIONE e COMUNICAZIONE, questi i tre assi cartesiani lungo i quali si è sviluppata la manifestazione e che corrispondevano alla presenza di circa 70 Aziende (circa 400 le etichette in degustazione), 6 Masterclass esclusive ed un canale Instagram interamente dedicato all’Evento.

M’ha fatto sicuramente piacere scoprire l’interesse di PARTESA per la Comunicazione alla luce di un generale calo del consumo di vino soprattutto tra i giovani.
La fascia 18-35 anni è infatti decisamente indirizzata a quel “ready to drink” che leggerei meglio come un approccio easy ed assolutamente informale al bere ed al mondo enoico in particolare.
Nessuno schema mentale e seguire le mode mi sembra essere il modo più corretto di descrivere il come i giovani si approcciano al calice.
Non la definirei certo una “ribellione” ma certo può essere un segnale che il mondo del vino dovrebbe cogliere per riportare ad una dimensione più “terrena” una bevanda (mi si passi il termine) cui abbiamo ormai affibbiato un valore davvero troppo edonistico.

LA MASTERCLASS

LETTURA DLLA VINIFICAZIONE IN BIANCO, questo il titolo della Masterclass condotta dal bravissimo Daniele Cernilli cui ho partecipato.

Contesto a parte, titolo impegnativo ed argomento complesso da trattare, se poi il tempo a disposizione è di 60 risicatissimi minuti ed i vini in degustazione sono 12 (poi diventati 11) beh…
Comunque, voleva essere una sorta di viaggio alla ricerca di fenoli, esteri, terpeni, tioli e quant’altro in quanto prodotto da vitigni che in Italia, stando al Prof. Moio, sono praticamente tutti privi di pirazine e quindi neutri od al massimo semi-aromatici.
Cosa assolutamente di non poco conto quest’ultima, perchè ci consente di considerare i vini che ne derivano come dei veri e propri marker territoriali, un qualcosa in cui il DOVE è più importante del CHI (o del DA COSA).

È stata un’ora davvero impegnativa, un racconto a base di bianchi fenolici quanto un rosso oppure tiolici e sensibili all’ossidazione e via di questo passo.
Personalmente l’ho trovato un argomento maledettamente interessante (e m’ha pure costretto a riprendere in mano il libro di chimica organica per rinfrescarmi la memoria) ma nelle righe seguenti eviterò di tediarVi con inutili ed eccessivi tecnicismi e volare, come detto sopra, banalmente basso.
Vi darò dunque conto solo delle mie impressioni gustative su quanto assaggiato davvero troppo in fretta in quello che è stato una sorta di viaggio attraverso un’Italia vinificata senza bucce e, altra piccola pecca, “dimentica” del Sud.

GLI ASSAGGI

1 – ELBA DOC ANSONICA – 2021 – TENUTA LA CHIUSA:
Ansonica vs. Inzolia, Isola d’Elba vs. Sicilia. Due vitigni, due isole, una sola anima.
Quello della nespola è il primo descrittore olfattivo ad essere percepito ma sono i sassi bianchi delle spiagge elbane, caldi di sole e sbattuti tra loro a colpire l’immaginario.
Poi sono le ginestre delle scogliere a picco sui fondali tirrenici, i glicini dei pergolati sotto cui riposare, le note amaricanti del timo serpillo, del sambuco e della mandorla fresca ed il respiro del mare d’intorno.
Sorso marino, dotato di una freschezza che la leggera carbonica trasforma in brezze che ne trasportano l’animo salino, a piacevolissimo contrasto con lontane dolcezze d’acacia e nocciola.
Iniziamo bene: gli do il mio premio “SURPRAIS”.

 2 – RIVIERA LIGURE DI PONENTE PIGATO – 2022 – DURIN:
giallo di frutti e di fiori, c’è la pesca ed il frutto della passione, un tocco di miele d’acacia, uno vegetale e piccante di sedano e forse (ma forse) un non so che di sulfureo. Sorso sapido e di adeguata freschezza, con un buon allungo ed un finale piacevolmente ammandorlato.
M’aspettavo più energia ma qui, nella Milano – Sanremo iniziano i “Capi”, il gioco si fa duro e…questo vino è andato in fuga forse troppo presto.

3 – VERNACCIA DI SAN GIMIGNANO DOCG BIO – 2021 – LA LASTRA: timido nel presentare il proprio corredo olfattivo, si approccia con un bouquet di fiori bianchi a precedere pesca, erbe di campo, soffi agrumati ed un quid di burro.
Sorso non muscolare ma di buona sostanza ed equilibrio, ben centrato sul frutto e ravvivato da un finale piacevolmente sapido.
Per ora “NI”, ma vorrei ri-assaggiarlo.

4 – SOAVE CLASSICO DOC “MONTE FIORENTINE” – 2021 – CÀ RUGATE: che dire di un Soave così “didattico”?
Naso che mixa sapientemente il frutto surmaturo della Garganega (susina e pesca gialla) con l’anima vulcanica del suolo, intarsiando il tutto con dolcezze d’agrume candito e nocciole tostate.
Sorso affilato, di grande freschezza e sapidità a pareggio, con un finale lungo e coerentemente minerale. Semplice ed affascinante.

5 – LUGANA DOC “VIGNE DI CATULLO” RISERVA – 2019 – TENUTA ROVEGLIA:
un naso di mediterranea avvolgenza in cui vegetali amaritudini contrastano con dolcezze d’acacia e mela cotogna.
Poi ci sono lime, grassezze di frutta a guscio e financo un tocco di fragola (sisi, non ho bevuto troppo, fidateVi). Sorso di verticale freschezza e sapidità accentuata da un leggero residuo di carbonica con richiami tostati e dolcezze dovute probabilmente all’alcol. Parla il Lago, ascoltatelo.

6 – VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI DOC “VECCHIE VIGNE” CLASSICO SUPERIORE BIO – 2020 – UMANI RONCHI:
ecco un vino che dice del “DOVE”, completamente differente dal precedente pur essendo prodotto con un vitigno appartenente alla stessa famiglia. Colpisce innanzitutto per una impronta meno “mediterranea” e più continentale (quasi, ma “QUASI”, fosse Matelica). Un’atmosfera profondamente boisè avvolge l’ampio scenario dei descrittori olfattivi. L’accento è posto sin da subito su nespola, leggere tostature e grassezze di frutta a guscio.
Poi è la volta di ginestre, fiori di campo, dolcezze d’agrume e frutta a polpa gialla che precedono aromaticità di erbe (maggiorana compresa) e finocchietto selvatico sullo sfondo di un orizzonte di minerale, rocciosa consistenza. Il sorso, di ottima corrispondenza gusto-olfattiva, è dominato da un’impronta salina quasi piccante che stacca di ruota una freschezza in affanno. A quest’ultima vengono comunque in aiuto le componenti morbide per un risultato di complessivo equilibrio. Lungolungo il sapido finale.
Bella prova!

7 – ROERO ARNEIS DOCG “VIGNA RENESIO” RISERVA – 2018 – MONCHIERO CARBONE:
qui sono gli idrocarburi a precedere un oriente di spezie dolci che intarsia note di legno appena percettibili e comunque aggraziate. Della frutta c’è l’albicocca, un quid tropicale ed un agrume dolce di pasticceria. Ampio e caldo il sorso, morbido ma ben sostenuto dall’acidità, di buona rispondenza all’olfatto e con una chiusura concreta e dedicata ai toni del caramello. Didascalico prodotto della riva sinistra del Tanaro (e non è poco).

8 – COLLIO DOC BIANCO “FOSARIN” – 2020 – RONCO DEI TASSI:
a quelli che cercavano le vegetalità del Sauvignon vorrei dire che qui, l’impronta aromatica è quella decisamente più elegante del Pinot Bianco. Al naso è esotico (eh, lo so…) ma non solo. Tra i fiori c’è il giallo della mimosa ed il bianco di un’acacia che introduce grasse dolcezze di burro a contrastare l’anice stellato. Sono poi nobiltà di zafferano e note pasticcere che vanno dagli agrumi canditi alla frutta secca sotto miele a chiudere uno spettro olfattivo di rara ampiezza che dimentica affatto gli echi  minerali di un mare che era.
Il sorso è sostanzioso, materico, incisivo, segnato da una sapidità mai doma che accompagna e contrasta mirabilmente una progressione gustativa che segue con rigore non comune la sequenza dei descrittori olfattivi. Tanta roba, si merita il mio premio “DAVVERO”.

9 – ROMAGNA ALBANA SECCO DOCG “BELLADAMA” BIO – 2021 – POGGIO DELLA DOGANA:
forse dovrei non scriverne, ma sotto quella riduzione che era ben più che peccato veniale (e che nessuno sembra aver rilevato quindi la mia impressione vale ZERO), c’era davvero sostanza. Fatta dunque la tara diciamo del giallo di arancia, susina, del bianco dei fiori , del verde di salvia ed alloro.
Colgo un sorso decisamente centrato sulla frutta matura intarsiato da graffi agrumati ma…questo devo DAVVERO ri-assaggiarlo.

10 – IGT RIESLING RENANO “COLLEZIONE DI FAMIGLIA” – 2017 – ROENO:
non cercateci la benzina, chè qui ce ne sta davvero poca (chissà perchè mi viene in mente il nome di un gruppo punk di Latina…), ma l’impronta minerale…quella c’è. Ci sono invece un bel mazzo di fiori bianchi, amaritudini di salvia, grassezze burrose e dolcezze di scorza d’agrume candita e vaniglia (beh, da qui qualche idrocarburo potrebbe pure saltar fuori).
Decisamente sapido, si propone ampio e ciccione al palato ma è la freschezza che, piano piano, sembra prendere possesso di un assaggio che ripropone i descrittori olfattivi calcando la mano su un agrume che pare essere più aspramente succoso che pasticcere. Non è uno dei “miei” Riesling ma è un sorso che vale decisamente la pena.

11 – VALDOBBIADENE PROSECCO DOCG “CUVÉE DEL FONDATORE GRAZIANO MEROTTO” SUPERIORE – 2021 – MEROTTO:
la viva e sostanziale effervescenza veicola da subito vegetalità balsamiche di sambuco cui seguono mughetti e glicine. La frutta arriva con la seconda ondata e propone un’alzata di mela Golden e pera Abate non dimenticando le nocciole. Chiude un agrume (cedro e kumquat) che s’accompagna a soffi mentolati.
Sorso cremoso, morbido ma di larghe e muscolose spalle fresco-sapide e con un allungo finale dedicato agli agrumi. Bella bolla!

Roberto Alloi, sommelier

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