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Rubrica di Emanuela Medi
 

Napoli, socializzare al Caffè. La lunga strada della bevanda più amata

Se si volessero studiare i luoghi della socializzazione a Napoli per gli ultimi due secoli, sarebbe impossibile prescindere dai Caffè, almeno da quando, per merito -come vogliono i più- di una regina, Maria Carolina d’Asburgo, il caffè giunse a Napoli nella seconda metà del Settecento.

Altri raccontano invece che il caffè – portato a Venezia già nel 1615 e poi, prelevato dal porto di Mokha sul Mar Rosso -da cui prese il nome- da navi anche genovesi e marsigliesi, oltre che veneziane, – sia giunto  in vari porti europei per arrivare poi a Roma ed infine a Napoli. Appena giunto a Roma, il caffè sarebbe stato sottoposto, perché bevanda musulmana, al parere di papa Clemente VIII  (1592-1605), pensando che egli l’avrebbe proibita, il papa, invece, assaggiatala, avrebbe esclamato “è così squisita che sarebbe un peccato lasciarla bere esclusivamente agli infedeli”. 

Ma da dove veniva il caffè? Si dice che le proprietà socializzanti di questa bevanda siano state scoperte ab origine: in Etiopia: all’incirca nel IX secolo, quando ancora nessuno aveva mai bevuto una tazza di caffè.  I monaci di un santuario si accorsero che le loro capre, dopo aver mangiato un’erba che aveva dei chicchi molto verdi, cominciavano a fare un po’ di chiasso insieme e non volevano ritirarsi a dormire. Così, raccolti i chicchi, e bevutone un decotto, i monaci poterono restare tutta la notte a pregare e cantare senza rischiare di addormentarsi nel bel mezzo di un salmo. Era nato il caffè, molti da allora lo bevvero, ma non tutti per restare svegli a pregare.

STORIA

La strada che questa magica bevanda avrebbe percorso dal santuario africano fino a Napoli, è anch’essa difficile da ricostruire per varie incongruenze cronologiche. In ogni caso, si dice che il caffè dopo l’Etiopia cominciò a diffondersi in Arabia (ecco già la famosa “Arabica” qualità di caffè amata da molti) e poi, passati i confini di quella terra, si diffuse sulle sponde africane del Mediterraneo e soprattutto in Egitto. Il caffè sbarcò poi a Costantinopoli, o per meglio dire a Istambul per merito degli Ottomani ,capitale dell’ultimo lembo di impero romano, era caduta sotto i colpi di Maometto II. Da Istambul il caffè, come dice, avrebbe continuato il suo cammino fino a giungere, con l’esercito turco di Solimano il Magnifico, nel 1529 all’assedio di Vienna. E fu questa l’occasione, secondo una delle molte e differenti versioni diffuse, che avrebbe consentito al caffè di arrivare in Europa. Si dice, infatti, che l’esercito di Solimano, iniziando la ritirata per non essere riuscito a conquistare la città, abbia abbandonato fuori le mura di Vienna alcuni sacchi di caffè che fornirono l’occasione ai viennesi di assaggiare per la prima volta questa bevanda. A questo racconto alcuni amano aggiungere anche un dettaglio divertente che, poiché lo zucchero non era ancora diffuso, per rendere più piacevole l’utilizzo della bevanda, i pasticcieri di quella città l’avrebbero  accompagnata con dei dolcetti fatti a mezzaluna, per celebrare la recente vittoria sui turchi: ecco che in Europa sarebbero arrivati insieme, il caffè e pure il “cornetto”

NAPOLI

Ma torniamo alla tradizione che lega il caffè napoletano a Maria Carolina. Si sa che la regina fu una delle donne più discusse della storia della città, prima amata dai settori più avanzati degli Illuministi napoletani che la scoprirono intelligente e colta (tutti i suoi libri sono ancora conservati-( cosi come li aveva ordinati Eleonora de Fonseca  Pimentel, celebre repubblicana ) in un fondo completo a Palazzo reale, nella Biblioteca Nazionale, poi odiata, da quegli stessi, per la feroce repressione  dopo la breve esperienza della Repubblica Partenopea nell’ultimo anno del Settecento. 

Maria Carolina, infatti, figlia di Maria Teresa d’Austria, sposa dal 1768 di Ferdinando di Borbone, conosceva bene il caffè che nella sua città di origine, Vienna, si beveva da tempo, e forse, secondo il tradizionale racconto che abbiamo riferito, addirittura da più di due secoli-   ne favorì la venuta a Napoli. Non per nulla, Anna Miller, una Lady che venne a Napoli dal paese del , l’Inghilterra, appena tre anni dopo del matrimonio della regina, invitata alla corte di Caserta, racconta in una sua lettera come in quella corte esistesse un vero e proprio rito del caffè  (A. Miller, Letters from Italy, London 1776).

Ma fu nell’Ottocento che a Napoli i Caffè cominciarono davvero a trasportare quelle regole della socializzazione dal mondo dei nobili in quello della gente comune, dalle sale chiuse dei palazzi dei principi ai locali sulla strada aperti a tutti. E se si ha qualche sporadica notizia del primo Caffè che sarebbe sorto all’Infrascata o a Villa Lucia, prima che quest’ultima, nel 1816, entrasse a far parte della famosa Floridiana,  le prime zone diventate celebri per i Caffè che riuscirono ad aggregare straordinari gruppi di frequentatori, furono la zona di Via Toledo e quella del porto. 

Qui, tra Caffè frequentati da cospiratori nei famosi moti del 1848 e oltre, Caffè frequentati da nobili che si dilettavano di ritrovarsi tra quei tavolini per scrivere epigrammi al vetriolo, come il Caffè del Molo, Caffè frequentati da Sindaci che vi svolgevano il quotidiano lavoro di amministrazione della città, non c’era disegno politico, moda letteraria, o progetto di modernizzazione della città degno di rilievo che non passasse per la rete dei Caffè, che si occupava della sua rapida diffusione. Si dice che anche la spedizione, poi fallita a Mentana, di Garibaldi per la conquista di Roma, nel 1867, sia stata organizzata al Caffè de Angelis, l’antica Bottega del Caffè, amato, tra gli altri da Giovanni Bovio (1837-1903). 

Si racconta anche che il duca di Sandonato, Gennaro Sambiase, sindaco di Napoli (1876-1878), ogni mattina si recava al Caffè d’Italia, come era stato ribattezzato nel 1860 con lungimirante fiuto politico il vecchio e glorioso Caffè Trinacria, fondato nel 1810 e frequentato, in passato tra gli altri, da Alessandro Dumas e da Giacomo Leopardi che si sedeva ai suoi tavolini per gustare, uno dopo l’altro i celebri gelati per cui il Caffè era famoso (F. Passananti, I caffè storici di Napoli, Newton Compton 1995).

E fu proprio in questo Caffè che il Sandonato concepì, ascoltando i desideri della gente comune che si sedeva accanto a lui per prendere un caffè, la costruzione della Via Caracciolo, che sarebbe diventata la più bella di Napoli, e perfino la linea ferroviaria che avrebbe unito per sempre la vecchia capitale, Napoli, alla nuova, Roma.

Chissà se i sindaci dei nostri giorni, ascoltando anch’essi i desideri della gente comune che parla nei caffè affollati, non potrebbero avere qualche utile suggerimento, come accadeva al vecchio sindaco garibaldino. 

Antonio Di Fiore

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Scritto da

Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.