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Rubrica di Emanuela Medi
 

Caffè: per l’ipertensione arteriosa meglio una tazzina che nessuna

L’effetto protettivo del consumo moderato di caffè (fino a poco più di 3 tazzine al giorno) nei confronti delle malattie cardiovascolari, del diabete di tipo 2, di alcune malattie neurodegenerative e del fegato è dimostrato dalla letteratura scientifica disponibile.

Ancora oggetto di dibattito è invece la relazione, tra caffè e rischio di ipertensione: da una parte, infatti, la caffeina sarebbe in grado di aumentare direttamente la pressione del sangue dall’altra, i composti ad azione antiossidante che caratterizzano il caffè eserciterebbero invece un effetto favorevole sul tono vasale, attenuando l’azione ipertensivante della caffeina.

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Dati a favore della prevalenza di questo secondo effetto positivo vengono dall’analisi dei dati raccolti nell’ambito dello studio Brisighella, che dagli anni ‘70 monitorizza periodicamente un campione della popolazione che vive nel piccolo comune dell’entroterra romagnolo.. In pratica le persone che bevevano 2 o più di 3 tazze di caffè al giorno presentavano valori di pressione sistolica inferiori rispettivamente di 5,2 e 9,7 mmHg rispetto a coloro che non ne bevevano mai. I benefici in termini di minore rischio di sviluppare ipertensione sembrerebbero già apprezzabili con una tazzina di caffè al giorno (rispetto a nessuna), come suggeriscono i valori più bassi di parametri di funzionalità dell’intero sistema arterioso (pressione differenziale e pressione aortica centrale, per esempio). 

La significatività statistica si mantiene anche dopo correzione per l’età dei soggetti arruolati.Gli autori ipotizzano che gli acidi clorogenici, ovvero i principali polifenoli contenuti nel caffè, siano i principali responsabili dell’effetto del caffè stesso sulla pressione. Sottolineano inoltre come la differenza dei valori pressori tra i bevitori di caffè e i non bevitori, relativamente piccola dal punto di vista numerico, sia potenzialmente significativa sul piano clinico; secondo alcuni studi infatti, sarebbero sufficienti 10 mmHg in più della pressione aortica per aumentare il rischio di eventi cardiovascolari del 10%.

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