a

I Tag di Vinosano
Rubrica di Emanuela Medi

Ludi e feste per oltre 180 giorni all’anno

Questa celebre frase latina letteralmente si traduce con pane e spettacoli  eppure, quale era propriamente «il pane», quali i giochi nel circo? E perché unire queste due parole? 

Cerchiamo di scoprirlo insieme. Cominciamo dagli spettacoli: circenses perché si svolgevano nel Circo Massimo, situato ai piedi del Palatino,  oltre che in anfiteatri come il Colosseo- Questi giochi potevano essere di vario genere: dalle corse delle bighe che vediamo nel film Ben Hur, ai cruenti combattimenti fra i gladiatori, alle carneficine di poveri diavoli mandati ad bestias per divertire gli spettatori. Mi riferisco a film come Quo vadis o, appunto, a Il Gladiatore, per citare solo i più noti. 

Quanto al pane, sappiamo che si trattava  senza dubbio  di una robusta pagnotta con il suo “com-panatico”, letteralmente ciò che poteva accompagnare il pane, andare insieme (cum) con esso. In genere era una manciata di olive, una salsiccia,  ortaggi (non certo  pomodori, peperoni o patate, che avrebbero fatto la loro comparsa nella cucina europea solo dopo la scoperta dell’America), o, anche intinta in una tazza di garum, la salsa di pesce, magari con un pezzo di polpo da addentare. 

L’immagine che trasmette la formula panem et circenses è uno stereotipo. Una massa di scamiciati e chiassosi spettatori che sulle gradinate mangiavano, bevevano, gridavano, bestemmiavano. È l’immagine della plebe e della folla che le classi dirigenti blandivano, foraggiavano e divertivano per distoglierle da tentazioni di tumulti e disordini:
Nel Regno di Napoli il binomio pane e spettacoli diventerà un trinomio: feste, farina e forca. 

Jérôme Carcopino, uno dei più illustri storici dell’antica Roma, si è preso la briga di calcolare le feste che si tenevano nell’Urbe: a febbraio i Lupercalia, detti così perché celebrati in onore  del dio Fauno, detto Luperco (protettore del bestiame) poi a aprile i Parilia, in onore di Pale, i Cerealia per Cerere, la dea delle messi, e i Vinalia in onore di Giove e Venere, a giugno i Vestalia in onore di Vesta e i Matralia per la Mater Matuta, in agosto i Volcanalia in onore di Vulcano, a dicembre i Saturnalia per Saturno, tutte feste che duravano più giorni. 

Poi c’erano quelle che iniziavano e si concludevano in una sola giornata: le sfilate a cavallo (19 marzo e 19 ottobre), la corsa dei sacchi o Robigalia a aprile, le corse dei muli (Consualia) il 21 agosto e il 15 dicembre, i Ludi piscatorii in onore del Padre Tevere l’8 giugno, il 15 ottobre le corse dei cavalli (Equus October). 

In questo mare magnum rientrano anche i più antichi Ludi romani (4-19 settembre), i Ludi plebei, dal 4 al 17 novembre, i Ludi Apollinares in onore di Apollo, dal 6 al 13 luglio, i Ludi Cereales, dal 12 al 18 aprile, i Ludi Megalenses, dal 4 al 10 aprile, i Ludi Florales o Floralia, per la dea Flora, dal 28 aprile al 3 maggio.  

La lista non finisce qui: a queste diverse feste vanno aggiunte anche quelle instaurate da imperatori, consoli, per celebrare compleanni o successi. (Cfr. Jérôme Carcopino, La vita quotidiana a Roma, Laterza 1996, p. 232 e sgg: l’ediz. originaria risale al 1939). Il totale per difetto è di 182 giorni di feste, vale a dire che circa metà dell’anno trascorreva in crapule, bagordi e spettacoli al circo. 

C’è da domandarsi come abbia potuto reggere così a lungo un impero nella cui capitale il popolo non era abituato a lavorare, a non avere una coscienza civile e politica. Quella turba di sfaccendati era in pratica una massa di manovra pronta ad appoggiare chiunque la vezzeggiasse o la comprasse. La risposta l’avrebbe data la storia della decadenza dell’impero. 

Dopo i tre grandi imperatori spagnoli (Traiano, Adriano e Marco Aurelio) Roma cominciò un inarrestabile declino  in particolare della decadenza dei costumi che avrebbero portato alla rovina la città e l’impero se ne erano resi conto molti, e non soltanto gli immancabili laudatores temporis acti, quelli cioè che lodavano sempre il passato, ma anche poeti, letterati, politici. 

Tacito (55-120 dc) nella sua opera Germania aveva contrapposto alla corruzione morale e politica di Roma le virtù di un popolo fiero, i Germani, anche se popolo nemico di Roma. 

Naturalmente questo discorso che accusa la decadenza morale del popolo romano come causa della caduta dell’impero diventerà a poco a poco  un elemento ricorrente e lo sarà in particolare  per i cristiani per i quali circenses erano la massima pietra dello spettacolo scandaloso che avevano dato tutti quegli imperatori che in quelle arene avevano fatto scendere i cristiani a morire.   

Antonino Londinium  

Tag degli articoli
Condividi sui social network