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Rubrica di Emanuela Medi
 

Più di cinquanta anni dalla morte di Totò. Ma pochi sono a noi più vicini

ll 15 aprile 1967 moriva uno dei più grandi attori di Napoli, Totò, il quale, pur risiedendo a Roma per il suo lavoro nel mondo del cinema, alla sua città natale restò affezionato per tutta la vita.

E da Napoli, al pari di Eduardo, trasse sempre ispirazione per i personaggi che interpretò, portando ai vertici della settima arte l’anima dell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie.

Dopo la sua morte ci fu un profluvio di saggi, biografie, studi, articoli, monografie, insomma tutta una vasta letteratura che ora lo esaltava, ma che spesso l’aveva maltrattato e quasi sempre sottovalutato, come lui stesso aveva in una intervista profetizzato, quando aveva detto che per essere apprezzato uno doveva prima morire.

Favorito dalla costante, diuturna proiezione dei suoi film sui teleschermi che lo hanno immortalato nelle sue performances, Totò è diventato nelle case dei napoletani una presenza familiare come quella di un vecchio amico che va spesso a far loro visita.

Ancora oggi ragazzi e anziani usano correntemente, almeno a Napoli, espressioni che ritroviamo in tanti dei suoi film. Per riferirne solo alcune: Ogni limite ha una pazienza, È la somma che fa il totale, Signori si nasce e io lo nacqui, Parli come badi, Lei è un cretino: si informiOnorevole lei? Ma mi faccia il piacere!, e tantissime altre, divertenti o spiazzanti, spiritose e intelligenti.

Sebbene fosse considerato un guitto, Totò era nella vita privata un vero signore. Basta dare un’occhiata a qualche intervista che gira ancora sul web: elegante e forbito, egli è lontanissimo dalla maschera popolana del protervo lazzarone che impersonò in tanti film.

Non per nulla ci teneva al titolo di principe, che gli era stato trasmesso dopo essere stato adottato da un nobile che discendeva dalla famiglia dei Comneni, imperatori di Bisanzio

Antonio De Curtis in arte Totò, classe 1898, iniziò la sua carriera, calcando le tavole del palcoscenico, non partendo dal cinema. Il suo mondo era quello dei cafè chantant, delle riviste, dell’avanspettacolo, del contatto quasi fisico col pubblico.

Un giovane Totò sul palco a Teatro

Fu l’incontro con il cinema a proiettarlo naturalmente su una più ampia ribalta e a dargli quella notorietà che mostrò di meritare pienamente. La filmografia di Totò è vastissima, circa un centinaio di film, molti, anzi troppi dei quali con sceneggiature raffazzonate e di scarso livello. 

Sono tante le scene che dovremmo menzionare, ma è doveroso citarne almeno qualcuna, come quella del vagone letto in cui il grande comico, nelle vesti del maestro d’orchestra Antonio Scannagatti, il cigno di Caianello, si prende gioco dell’onorevole Trombetta, la sua storica spalla Mario Castellani, o quell’imprevedibile, folgorante balletto dell’uomo-marionetta nello stesso film (l’eccellente Totò a colori, 1952, regia di Steno, che è in pratica una raccolta dei più riusciti sketchs del suo repertorio).

Ma è il film Totò, Peppino e la malafemmina (1956, regia di Camillo Mastrocinque), che forse meglio esprime la grandezza di Totò e dell’eccellente cast che lo affiancò. L’arrivo dei due fratelli Caponi alla stazione di Milano, bardati e imbacuccati come se dovessero recarsi in Siberia, e il successivo incontro col vigile, o l’altrettanto celeberrima scena, nello stesso film, della lettera che Totò e Peppino scrivono alla malafemmina, la bellissima, statuaria Dorian Gray, sono fra i migliori pezzi in una ideale antologia del cinema italiano. 

Eppure Totò non fu solo il più grande attore comico che il cinema italiano abbia espresso nel Novecento, perché anche nei ruoli più seri se non addirittura drammatici (pensiamo a Totò e Carolina o a Guardie e ladri, o a Arrangiatevi! per non parlare del suo ultimo film, Uccellacci e uccellini) se la cavava con la disinvoltura dell’attore consumato che ha la padronanza del proprio mestiere ed è in grado di affrontare senza timore ogni genere e ruolo.

L’avventore che capiti in un bar di Napoli troverà affissa alla parete non solo la fotografia di Totò o quella di Maradona: spesso accanto a queste  è esposta una riproduzione sui generis del Cenacolo di Leonardo, dove, al posto degli apostoli siederanno i più amati figli di Napoli:

Totò è il primo da sinistra, seguono poi Peppino De Filippo, Vittorio De Sica. Al centro troviamo Sofia Loren tra Nino Taranto e Massimo Troisi; alla sinistra di quest’ultimo Eduardo De Filippo e Pino Daniele. In altre versioni di questo particolare Cenacolo fa capolino la testa ricciuta di un napoletano d’adozione, Diego Armando Maradona, il Pibe de Oro che consentì di vincere gli unici due scudetti. E così, tra un Principe e un Re, Il Cenacolo “alla napoletana” fa sedere allo stesso tavolo ideale i suoi più amati figli. 

Giacomo Mezzabarba
http://www.farodiroma.it/bollettino-partenopeo-ricordando-toto-il-principe-della-risata/

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Emanuela Medi giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche GR3 e GR1. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti- ha curato la rubrica ”La Medicina”. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori, affidatole dalla Commissione della Comunità Europea. Per il suo impegno nella divulgazione scientifica ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio ASMI, Premio Ippocrate UNAMSI, premio prevenzione degli handicap della Presidenza della Repubblica. Nel 2014 ha scritto ”Vivere frizzante” edito Diabasis. Un saggio sul rapporto vino e salute. Nello steso anno ha creato il sito ”VINOSANO” con particolare attenzione agli aspetti scientifici e salutistici del vino. Nel 2016 ha conseguito il diploma di Sommelier presso la Fondazione Italiana Sommelier di Roma.. Attualmente segue il corso di Bibenda Executive Wine Master (BEM) della durata di due anni.