Non potrà che essere contento Pellegrino Artusi , il padre della cucina domestica italiana di cui ricorre il bicentenario, del tema sul rapporto che lega il patrimonio gastronomico italiano ai suoi territori, focus centrale della V Settimana della Cucina Italiana nel mondo in programma da oggi lunedi 23 al 29.
”Saperi e sapori delle terre italiane, a 200 anni dalla nascita di Pellegrini Artusi”. la manifestazione organizzata dall’ENIT in collaborazione con le ambasciate italiane intende valorizzare all’estero la Dieta Mediterranea di cui quest’anno si celebra il decennale Unesco, quale stile di vita sano, proponendone gli aspetti salutistici, specie in presenza del Covid-19, come strumento contro la possibilità di ammalarsi . Particolare attenzione viene posta alla tutela e valorizzazione dei prodotti a denominazione protetta e controllata, a quelle legate alla produzione vitivinicola nazionale, alle tradizioni enogastronomiche italiane, soprattutto a fini turistici. Ovviamente la maggior parte degli eventi si svolgeranno in streaming ma non mancheranno momenti fisici e cene ad hoc: la parte del leone all’Emilia Romagna patria regionale di Pellegrino Artusi. Ma visto che la regina di questa settimana è la Dieta Mediterranea, ne abbiamo voluto ripercorrere, almeno in parte la storia:
Pasta, pane, legumi, olio d’oliva, vino, verdure… sono questi gli alimenti di base di quella che viene ormai definita “dieta mediterranea”: una formula che è molto più di una moda, perché riassume quelle che da secoli sono le nostre tradizioni alimentari.
La dieta mediterranea è per molti uno dei migliori antidoti alle malattie del benessere (diabete, aterosclerosi, obesità, gotta ecc.). Una “dieta” che non si costruisce solo a tavola, ma che prevede, rifacendosi all’origine greca della parola, un vero e proprio “stile di vita”.
La vera origine scientifica della dieta mediterranea iniziò negli anni Cinquanta, quando il ricercatore statunitense Ancel Keys richiamò l’attenzione internazionale sul basso tasso di malattie cardiache in alcune popolazioni dell’area mediterranea. Stabilitosi a Salerno nel 1945 aveva avuto modo di notare come nel territorio di Battipaglia fossero molto limitate le malattie cardiovascolari, piuttosto diffuse negli Stati Uniti. In particolare tra la popolazione del Cilento risultava particolarmente bassa l’incidenza di quelle che oggi chiamiamo “malattie del benessere” (aterosclerosi, ipertensione, diabete…).
A differenza di quanto accadeva nell’immediato dopoguerra dove gli uomini d’affari statunitensi, presumibilmente le persone meglio alimentate, avevano elevati tassi di malattie cardiache, mentre nell’Europa post-bellica il tasso di malattie cardiovascolari era fortemente diminuito in corrispondenza di una drastica riduzione delle disponibilità alimentari.
Keys, postulando una correlazione tra livelli di colesterolo e malattie cardiovascolari, avviò nel 1948 il primo studio prospettico relativo alle malattie cardiovascolari, durato 15 anni, sul gruppo di uomini d’affari del Minnesota. Questo studio, dal quale risultò che a livelli di colesterolo ematico superiore a 260 il rischio di contrarre entro pochi anni malattie cardiovascolari era da 4 a 6 volte superiore rispetto a livelli inferiori a 200-220, fu reso materialmente possibile grazie alla collaborazione di una compagnia di assicurazioni, evidentemente molto interessata all’ipotesi di valutare a priori il rischio sanitario dei propri clienti. Successivamente Keys coinvolse sempre più studiosi a livello internazionale, sviluppando quello che sarà chiamato lo “studio delle sette nazioni.
che oltre a fornire una forte prova epidemiologica degli effetti dei vari acidi grassi sul colesterolo ematico e sul rischio di malattie cardiache, ha evidenziato come in alcune regioni (compreso il sud dell’Italia), pur essendo decisamente elevata l’assunzione di grassi, principalmente olio di oliva, si godeva tuttavia di una bassa incidenza di malattie cardiache
Negli anni Sessanta, la commissione europea per l’energia Atomica condusse uno studio sugli alimenti di consumo più comuni in Europa. Il fine era quello di determinare quali prodotti avessero maggiori probabilità di essere contaminati dalla radioattività; però la ricerca rappresentò anche un’importante panoramica sulle abitudini alimentari in alcuni paesi. Per quanto riguarda l’Italia, fu evidenziato che le regioni del Sud consumavano più cereali, ortaggi, frutta e pesce e meno carne, patate, latticini e uova e che il tipo di grasso predominante nella dieta era l’olio d’oliva; mentre le regioni confinanti con gli altri paesi europei consumavano una quantità elevata di prodotti animali con burro e margarina quali grassi predominanti nella dieta. Queste differenze regionali furono correlate alle differenze nelle statistiche di mortalità e, come già previsto da Keys, il più elevato consumo di grasso animale venne associato alla più alta frequenza di malattie cardiache .
Dieta mediterranea quindi, ma come renderla fruibile in tempo di Covid in modo da essere strumento di prevenzione : se ne parlerà appunto in questa settimana, ma l’attenzione c’è e forte tanto da essere raccomandata dal Ministero della Salute che tramite il suo” braccio operativo “ l’istituto Superiore di Sanità ha recentemente emanato consigli ,regole e raccomandazioni non dissociate dall’attività fisica.
Emanuela Medi giornalista