“Il vino deve essere in sintonia con il luogo in cui nasce ed essere in equilibrio con questo. Solo così il vino è espressione aromatica del territorio, l’ambiente rispettato così come l’autenticità del vino”.
Non è certo facile spiegare ma prima ancora capire che cosa è il vino e tutto quello che lo circonda e ne deriva per Luigi Moio che tra i tanti titoli annovera la presidenza OIV.
Eppure nella Lectio Magistralis tenuta in occasione della Convention delle Donne del Vino organizzata dalla sezione campana, qualcosa mi è parso chiaro.
“La vite nasce, si sviluppa, forma i grappoli da questi il vino, sempre allo stesso modo: da millenni dalle lontane origini caucasiche. Nulla di più o forse molto ma questo anche per l’intervento dell’uomo”.
Non poteva essere più preciso, netto l’esordio di Luigi Moio.
“L’importante- sottolinea il professore- è non lasciarsi sfuggire l’identità sensoriale dei vini perché il loro fascino è nella loro diversità che è fortemente influenzata dal sole e dal clima. Per certi versi Il vino è un modello, un paradigma della diversità e per questo affascina, tanto che attraverso una bottiglia di vino è possibile viaggiare virtualmente in regioni come il Piemonte, la Toscana, la Sicilia la Francia, l’Australia, la Spagna.
In un mondo che va verso l’omologazione il vino è vincente nella diversità e qui c’è tutta la responsabilità della filiera e di tutti noi che dobbiamo preservare e custodire tutto questo”.
Una fortuna la diversità, sappiamo gestirla?
Abbiamo il più grande patrimonio ampelografico al mondo con vini storici importanti oltre che autoctoni come il Barolo, il Sangiovese, l’Aglianico, il Montepulciano e anche bianchi come il Catarrato, la Falanghina, il Verdicchio su cui bisogna fare un grande lavoro di comunicazione perché se a noi noti non lo sono a livello planetario. Ancora di più la comunicazione è fondamentale per gli autoctoni minori interessanti come banca genetica da cui possiamo trarre molte informazioni perchè in maggiore sintonia con il contesto pedoclimatico.
Ma questo patrimonio della diversità rischia di scomparire. Per questo insisto nel dire che è assolutamente necessario piantare le vigne in specifici territori e non ovunque. In tale modo si preserva la diversità minacciata dal riscaldamento climatico con la conseguenza di avere vini surmaturi che annullano l’espressione territoriale”.
Quale è per lei la maggiore criticità
La troppa confusione perché ognuno fa a modo suo. Questo rischia di depotenziare l’aspetto affascinante del vino italiano che è la sua territorialità e quindi diversità. Se ne parla tanto ma questa deve essere vera. Oltre ai tanti aspetti economici e commerciali in primis i rincari e la guerra in Ucraina.
Come sta andando l’i Italia del vino
Bene. Vediamo i dati: dal 2010 al 2019 siamo passati a livello mondiale da 22 miliardi di litri a 27 miliardi di litri , da 188 miliardi di euro a 268 miliardi di euro. Certo alcuni paesi vanno meglio altri meno bene, ma il nostro paese si difende. Dobbiamo sfruttare la grande richiesta dei vini autoctoni e un trend che è quello di vini meno alcolici, più leggeri e eleganti facendo attenzione al mito della naturalità che non richiede l’intervento dell’uomo e che è tutt’altra cosa dalla territorialità”.
Emanuela Medi, giornalista