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Rubrica di Emanuela Medi
 

Le antiche vie del pane fra scambi e conservazione

La cottura del cibo non è solo una forma concreta di riconoscimento culturale degli alimenti ma soprattutto, la cottura come la conservazione, a rendere il cibo più commestibile, digeribile, sano e alla portata di più consumatori.

Questo è avvenuto migliaia di anni fa in coincidenza, o quasi, anche con il passaggio da una alimentazione “di raccolta” a un sostentamento “di coltivazione e di allevamento”. Il pane si può considerare uno dei cibi “simbolo e icona” di questo processo storico culturale avvenuto nel bacino del Mediterraneo ben oltre 5/8000 anni fa.

panettone-accademia

Il pane, come lo conosciamo noi oggi o in parte, prende origine dalla terra degli egiziani e dal controllo della lievitazione, come pure il pane fu oggetto di sofisticazioni in nome del profitto. Ma in ogni caso il pane era l’alimento base della popolazione mediterranea, e in varie forme e dimensioni, rientra nella dieta mediterranea.

Lo stesso “valore” del pane è cambiato nei millenni: prima pagato in 1 danaro per peso della forma. Poi a metà medioevo, con la prima grande diffusione di un certo benessere fuori dai potenti castelli e monasteri, il pane ha un valore dipendente dalla materia prima e dal coloro. Argano linee il pane bianco era da “ricchi” e il pane scuro e integrato con frutta e legumi per i “poveri” di campagna e di città.  

La scuola sanitaria alimentare salernitana, una delle fucine e delle fonti più importanti per capire l’importanza della santificazione igiene e cura alimentare per secoli, ne diede un valore addirittura taumaturgico soprattutto nella versione “bianco” e ricotto dopo prima cottura abbrustolito o nel latte. 

Sicuramente il pane non ha avuto in millenni il potere economico del sale, non ha contribuito a fondare città (vedi Roma stessa) o elevare popolazioni al rango di sultanati o di regni, ma ha mosso l’economia e per fare commercio le “vie del pane” sono diventate fondamentali e famose, addirittura come le vie del sale , hanno unito o disunito popoli e territori. Esempi in Italia ce ne sono tantissimi, come in Calabria fra la sponda ionica e tirrenica, in Sardegna fra nord e sud, in Puglia fino all’entroterra materano e beneventano (grazie ai Longobardi e da cui i Longobardi presero cognizione e metodi).
Addirittura la “forma” stessa del pane è oggetto di identificazione territoriale, di storia antica e di valore aggiunto del pane stesso come “sanità” del cibo, conservazione della materia prima “la farina”. Si potrebbe dire che la “pagnotta” del pane ha molti elementi produttivi in comune con le “forme” dei formaggi stagionati a grana dura con il Furmai Padano nato nelle marcite della pianura fra Milano, Lodi e Piacenza sempre in quel periodo del medioevo di grandi disponibilità del XIII°-XV° secolo. Nel tempo dello scambio, della contaminazione alimentare e nel “baratto” il pane ha svolto una azione di dialogo e anche di diplomazia, oltre che di controllo e di dazi doganali facendo la fortuna di diverse famiglie potenti…..

A grandi linee ci sono, ancora oggi, territori diversi l’uno dall’altro solo per la “forma” del pane: per esempio il pane-piatto azimo o salato ha una origine antica nel sud dell’Italia, arabo africana, utilizzata anche dai romani e poi diffusa anche nel nord con oggi esempi notissimi come piadina,  crescentina, tigella, carasau, schiacciata, farinata.  Al di là della moda dei grani antichi (c’è chi da sempre usa varietà derivate e dirette nel fare il pane), le nostre montagne appenniniche hanno sempre sformato pani dalle forme pesanti e grosse, treccia o miccone, cafone o toscano, muffola o puccione. Come pure la storia dei pani porzionati, piccoli, i panini come rosetta, semolino, coppia, puccia, ciupa, chiosola, batarò quasi tutti nati lungo l’asta del fiume Po.

Da qui le vie del pane via terra, fiume e mare: il panino del Po si produceva fra Tortona e Piacenza e veniva portato il Liguria e fino a Ravenna e Venezia con le barche. Ma le vie principali, oggi percorsi escursionistici di camminatori e pellegrini moderni, di appassionati della cultura tradizionale, sono quelle che andavano ( e vanno) dal luogo dove si coltivavano i cereali, dove c’erano i mulini, dove c’erano i forni. Torino, Alessandria, Piacenza, Modena erano punti di partenza delle “ vie del Pane” verso Savona, Genova, La Spezia, Lucca. 

Ovvio che molti cammini  (vie e itinerari)  sono antichissimi, ma ancora oggi praticabili a piedi o in bicicletta o in moto o con jeep. Ovvio che molte di queste vie hanno avuto una origine cristiana poiché univano il percorso dei viandanti commercianti con quelli dei pellegrini. L’uno aiutava l’altro: spesso anche deridendosi come favole storiche raccontano. Due itinerari, oggi tabellati, meritano per l’insieme delle bellezze artistiche e naturalistiche: uno è quello che da Ponte dell’Olio (in toponimo già dice molto) nella valle del Nure nel piacentino porta al golfo del Tigullio in Liguria di Levante e la valle di Vara e del magra passando per un territorio appenninico segnato da pievi, mistadelli, passi alti che consentono di unire gli occhi fra il mare e la pianura.
Pane o farina portati in cambio di olio di oliva (da qui l’uso antico dell’olio vegetale nella cucina dell’alta Emilia)  e di “tegule” di ardesia per costruire i tetti dei castelli di montagna. L’altra è la via Appia antica, nata proprio per portare a Roma tutta la farina e il pane necessario per le legioni romane detta via Regina Viarum verso Capua, Venusia, Beneventum fino a Taranto, detta anche “via dell’alfabeto del pane”.

Gianpietro Comolli, Presidente Ovse-Ceves

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