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Rubrica di Emanuela Medi
 

Sangiovese… la disfida di Lucera

A fine aprile, mi sono recato con la mia Antonella a Lucera, vicino Foggia, il suo paese natio, del quale ho parlato qualche tempo fa, a trovare il padre novantaseienne e la sorella più piccola con la sua famiglia.Per festeggiare il 1° maggio, visto il tempo perturbato, siamo rimasti in casa e ci siamo messi a cucinare Antonella ed io, lei ha pensato agli spaghetti alla chitarra al sugo, io al all’agnello pugliese, cotto al forno con le patate.

Per il sugo ha utilizzato i pomodori dell’Azienda Petrilli “La Motticella”, o Motta della Regina, che dal 1988coltiva con tecniche di agricoltura biologica e ha recuperato dei ceppi autoctoni, ovunque soppiantati dalle varietà industriali, delle varietà: il Sammarzano, il Torremaggiorese ed i Prunilli, una varietà rustica che cresce in aridocoltura e produce cento quintali a ettaro contro i mille dell’industria. La cucina sprizza profumi d’antico, il sugo della domenica mattina che inondava la casa, come quando cucinava il ragù mia mamma o, qui a Lucera, mia suocera, che sicuramente ci avrebbe fatto la pasta a mano, i famosi troccoli, un formato simile  alla chitarra abruzzese, realizzato con uno strumento in legno torcolo o troccolo.

Ci accontentiamo degli spaghetti alla chitarra, però di alta qualità,sempre dell’Azienda Petrilli, pasta prodotta con due varietà di grano aventi caratteristiche diverse e complementari, il Saragolla e l’Hathor, sperimentate a lungo in azienda e coltivate in agricoltura biologica. Il Saragolla ha proteine e glutine, e dà alla pasta corpo e sapore. L’Hathor è un incrocio fra Korasan e Senatore Cappelli, ed ha un profumo molto intenso.

Intanto che le cotture procedono apro una bottiglia di Brunello di Montalcino 2012, che ho portato da Roma, dell’Azienda Agostina Pieri. Mio suocero, a mo’ di sfida o di disfida, siamo in terra pugliese, tira fuori dalla sua cantina un Sangiovese Daunia IGT 2010 di Paolo Petrilli, che fa parte del progetto “Interpretazioni”, volto a valorizzare i vitigni autoctoni in terra di Puglia.

Bel duello tra due varietà di Sangiovese, il vitigno rosso più coltivato in Italia, che dimostra una grande versatilità.

Il Sangiovese ha origini molto antiche, probabilmente etrusche, in particolare sembra provenire dalla zona a nord del Tevere e a sud dell’Arno, da cui poi si sarebbe diffuso oltre l’Appenino, fino ad interessare le colline romagnole ed emiliane. L’origine del nome è ancora più incerta, si va dall’ “uva sangiovannina” con riferimento alla sua maturazione precoce, al termine francese “joueller” derivato dal latino “jugalis” cioè aggiogare, in questo caso “fissare a dei sostegni”; inoltre, pare che dei monaci di un monastero sul monte Giove a Santarcangelo di Romagna lo battezzarono “sangue di Giove”. Si distinguono due gruppi: il Sangiovese Grosso (che include i biotipi brunello e il prugnolo gentile) e il Sangiovese Piccolo (che comprende il biotipo morellino di Scansano): la natura policlonale del Sangiovese, tuttavia,  fa sì che si possa parlare di Sangiovesi, e non solo di Sangiovese e ridurre la famiglia a solo due tipologie di vitigno è semplificativo. È sempre più frequente che all’interno dello stesso vigneto di Sangiovese si impiantino diversi cloni, ciascuno dotato di caratteristiche e vigoria diverse, e in grado di fronte alla variabilità stagionale di ottenere un prodotto finale più costante. È un vitigno tardivo con buona capacità di adattamento e tendenza a produzioni abbondanti. Come molti vitigni a bacca rossa produce meglio se impiantato in terreni argilloso-calcarei e ricchi di scheletro. I  vini da Sangiovese sono alcolici, concentrati e in grado di maturare nel tempo.

Come già scritto in precedenza la vigna di Petrilli si estende per undici ettari tra Lucera e Lesina. Il Nero di Troia è la varietà prevalente, poi Sangiovese, Montepulciano, Aglianico, Bombino e Verdellino. Le vecchie viti crescevano precedentemente su terreni troppo fertili, mentre ora, dopo essere state innestate, sono allevate su suoli calcarei e meno fecondi, cosicché regalano uve qualitativamente superiori rispetto a prima.La densità è di cinquemila piante ad ettaro, e le rese delle uve non superano mai i 60 quintali, si è rinunciato alla eccessiva resa per ettaro e all’utilizzo di prodotti chimici, per sviluppare un sistema produttivo eco-sostenibile. Si vendemmia a mano e si vinifica, dal 2002, nella cantina dell’azienda.

L’Azienda Agostina Pieri si trova a Piancornello, una delle zone più meridionali del comune di Montalcino, e si compone di circa undici ettari vitati su terreni costituiti da materiale fertile e pietra fluviale. La coltivazione dell’uva avviene dal 1990 e dal 1994, con la costruzione della cantina, inizia la produzione del vino. Inizialmente l’impostazione era legata a un’idea molto tradizionale del Brunello, maturato per tre anni in botti di rovere di Slavonia. Ma l’azienda, guidata oggi dal figlio di Agostina Pieri, Francesco Monaci, ha preferito optare per due soli anni di invecchiamento in legno, il primo in piccole botti di rovere francese, il secondo in botti grandi di rovere di Slavonia, ottenendo così vini meno austeri, dotati di grande eleganza, immediatezza e bilanciamento.

Abbiamo iniziato dal più giovane, il Brunello di Montalcino 2012 di Agostina Pieri il consorzio del Brunello ha classificato l’annata come eccezionale a 5 stelle. L’affinamento avviene per un anno in botti da 6 hl, un altro in botti da 20 hl, quindi 18 mesi in bottiglia. Alla visiva si presenta con un colore rosso rubino carico. All’olfattiva è elegante, si percepiscono note di legno di cedro, confetture di more e ciliegie, cacao, tabacco. Alla gustativa è equilibrato,lo spessore fruttato e l’efficace dote acido-tannica concorrono ad imbrigliare l’imponente tenore alcolico e ad assicurare longevità e armonia all’assaggio. Di buon corpo, persistente.

Poi siamo passati al Sangiovese Daunia IGT 2010 di Paolo Petrilli, ottenuto esclusivamente da uve provenienti da agricoltura biologica certificata. Si dimostra tanto puro e integro nel frutto, quanto ben equilibrato nelle componenti organolettiche acquisite in fase di invecchiamento. Al colore si presenta di un rosso rubino intenso, che vira al granato impenetrabile.
Al naso è speziato, caratteri terziari, cuoio, cioccolato. Balsamico, accenni di liquirizia. In bocca è avvolgente, armonico ed equilibrato; tannini arrotondati e levigati.Lunga persistenza.

Pensavo di vincere facile la disfida grazie al mio “amato” Brunello, come Clint Eastwood nel duello finale contro Gian Maria Volontè nel film epico di Sergio Leone “Per un pugno di dollari”, ma in questo caso non c’è un vincitore, un buono e un cattivo, entrambi i vini sono buoni, anzi eccellenti.

Il meno noto Sangiovese pugliese regge il confronto e forse alla fine, dopo diversi assaggi, grazie anche ai due anni in più di affinamento in bottiglia, alla gustativa ha già raggiunto la massima qualità ed è di poco superiore al Brunello, che invece è migliore all’olfattiva, ma non l’ho detto a mio suocero, se non adesso, anzi l’ho disorientato facendogli annusare e confrontare a fine pasto i calici vuoti … ho ancora davanti agli occhi la sua espressione stupita nel percepire i sentori dei vini, accettando suo malgrado la “vittoria” del Brunello …

Luigi Gorietti, sommelier

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