Quando nel febbraio del 1918 il critico d’arte François Thiébault-Sisson va a trovare Claude Monet nella casa con il rigoglioso giardino a Giverny, in cui trascorre gran parte della vita, si trova davanti un uomo gioviale, dagli abiti leggermente demodè, con mani magre, spirito energico e una lunga barba bianca.
Sono per Monet gli anni successivi alla crisi determinata dalla malattia dei suoi occhi, che lo aveva costretto a una pausa perché “I colori non avevano più la stessa intensità per me; non dipingevo più gli effetti della luce con la stessa precisione.”
Nella lunga conversazione riportata dal critico, il pittore racconta che "un giorno benedetto" ha la sensazione che la malattia sia passata, e comincia a fare esperimenti per rendersi conto dei limiti e delle possibilità della sua vista. Con grande gioia realizza che, nonostante da vicino avesse ancora difficoltà, da lontano i suoi occhi non lo tradiscono e, da quello che definisce "un punto di partenza molto modesto", torna a sperimentare.
Monet torna ad affrontare alcuni temi già esplorati nel corso della sua carriera: “Avevo sempre amato il cielo e l’acqua, il verde, i fiori. Tutti questi elementi potevano essere trovati in grande abbondanza qui nel mio piccolo stagno”.
Dice: “sapevo cosa