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Rubrica di Emanuela Medi
 

Giappone, trend favorevole per l’import agroalimentare dall’Italia

GIAPPONE, TREND FAVOREVOLE (2008-2018)  PER L’IMPORT  AGROALIMENTARE  DALL’ITALIA: +51%

Anche se il nostro  paese non rientra tra i principali fornitori di prodotti agroalimentari, pesando appena 1,5% , pur tuttavia il Made in Italy è molto apprezzato e in crescita  in un paese come il Giappone che con un valore superiore ai 57 miliardi rappresenta il quinto mercato al mondo e il cui  Pil pro capite è superiore del 10% a quello italiano.

Nell’ultimo decennio il valore degli acquisti dal nostro paese è passato da 537 a 865 milioni di euro denotando una crescita superiore al 50% di cui  l’import di vino italiano è cresciuto ad un tasso medio annuo (Cagr) del 4%, quello di formaggi del 5,9%, l’olio d’oliva del 7,5%. Usa, Australia e paesi asiatici i principali concorrenti, ma con l’accordo di libero scambio in vigore dal 1 febbraio tra Ue e Giappone, i prodotti italiani diventano più competitivi, grazie all’abbattimento dei dazi e delle barriere non tariffarie.

Ed anche i primi dati relativi al 2019 evidenziano un ulteriore crescita. Nel primo quadrimestre di quest’anno, le importazioni di prodotti agroalimentari italiani in Giappone sono cresciute di quasi il 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno  precedente: un trend favorevole che dovrebbe trovare ulteriore spinta dall’accordo di libero scambio entrato in vigore dal 1 febbraio scorso tra i paesi dell’Unione Europea e il Giappone    Dazi che per alcuni prodotti bandiera del Made in Italy come il vino , la pasta e i formaggi vanno dal 15% al 40%.

Sono questi alcuni dei temi approfonditi durante il IV Forum Agrifood Monitor organizzato da Nomisma e Crif tenutosi  il 10 Giugno  presso il Palazzo di Varignana sulle colline bolognesi e Incontro cui hanno partecipato , tra gli altri, l’ambasciatore Umberto Vattani, presidente della Fondazione Italia-Giappone, di Paolo De Castro, europarlamentare, Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, Daniele Salvagno, presidente di Redoro Frantoi Veneti, Gian Paolo Gavioli, direttore commerciale Caviro nonché di Koji Misawa, direttore commerciale di Elisir co. Ltd e Miciyo Yamada, giornalista ed esperta di consumi alimentari nel mercato giapponese.

“Sebbene il Giappone pesi solo per il 2% sull’export agroalimentare italiano, la rilevanza di questo mercato è molto più strategica per alcuni prodotti :  basti pensare- ha detto Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma- all’olio d’oliva, dove il paese del Sol Levante incide per il 7% sull’export di questo prodotto del Made in Italy e arriva al 17% nel caso degli oli esportati dal Sud Italia, con un prezzo medio di 5,6  euro contro una media mondiale di 5 euro”   Anche per quanto riguarda i formaggi, l’Italia presenta il posizionamento di prezzo più alto su questo mercato rispetto a tutti i diretti competitor (7,64 €/kg di prezzo medio all’import contro 3,62 euro dell’Australia o 3,97€ degli Usa). “Il posizionamento di prezzo più elevato dei nostri prodotti riflette una composizione del paniere esportato di più alta qualità che a sua volta discende da una maggior attenzione del consumatore giapponese verso il Made in Italy”, sottolinea Pantini. Non è infatti un caso se tra il 2013 e il 2018 l’export di Parmigiano Reggiano e Grana Padano in questo mercato è cresciuto a valore del 113%, quello di Gorgonzola del 109%. “

Ma quale è la reputazione dei prodotti italiani presso il consumatore giapponese, come vengono percepiti e come  conquistarne la fiducia, chiave di volta per costruire rapporti consolidati di fornitura.

La survey  realizzata  in occasione del Forum su 1.100 consumatori giapponesi ha confermato l’Italia come il paese più rappresentativo del food di qualità nel percepito della popolazione, surclassando sia la Francia che gli Stati Uniti, questi ultimi principali fornitori di prodotti agroalimentari nel mercato giapponese”, ha evidenziato Evita Gandini, Project Manager dell’Area agroalimentare di Nomisma.

Non tutti i consumatori, però  sono  uguali nell’acquisto” a occhi chiusi” : la stragrande maggioranza dei giapponesi, infatti, è sensibile al prezzo e razionale nelle scelte di acquisto. Si tratta dei “Tradizionalisti-cauti”,  in cui ricade ben il 48% dei consumatori. Il secondo gruppo più numeroso è rappresentato dai “Millennials Sperimentatori” (36%), giovani dai 18 ai 38 anni, curiosi, aperti alle novità sono attratti dalla cultura occidentale e per questo la propensione all’acquisto di prodotti Made in Italy è più elevata della media.

“Ma il segmento più interessante per il nostro Made in Italy è rappresentato dai “Giramondo spensierati” (10% della popolazione): consumatori della Generation X (39-54 anni) con alta capacità di spesa, amano viaggiare e conoscere nuove culture. Internet, degustazioni, cooking show, abbinamento cibo-vino sono le parole chiave per conquistare questo tipo di consumatori” conclude Gandini.

“Nel settore agroalimentare come del resto in molti altri comparti della nostra economia, lo sviluppo dell’export è un processo complesso per le imprese, specie per quelle di piccola dimensione. Essendo partner di oltre 15.000 aziende in Italia, possiamo affermare che le PMI che hanno maggior successo nell’export sono quelle che riescono ad accelerare la fase di ricerca degli importatori e distributori utilizzando i canali digitali ma anche riuscendo ad individuare, avvalendosi di servizi specializzati, i potenziali partner prima ancora di investire in trasferte e attività di promozione su mercati lontani”, commenta Marco Preti, Amministratore Delegato di CRIBIS.

Emanuela Medi, giornalista

(FONTE: Agrifood Monitor è un’iniziativa congiunta di Nomisma e CRIF www.agrifoodmonitor.com)

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