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Rubrica di Emanuela Medi
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Anche se con un-2% il valore alla produzione e -0,1% nelle esportazioni la Dop economy  nel 2020 conferma il proprio indiscutibile ruolo  raggiungendo i 16,6 miliardi di euro pari al 19% del fatturato totale dell’agroalimentare italiano e un export da 9,5 miliardi di euro  pari al 20% delle esportazioni nazionali di settore. Tutto questo grazie al lavoro svolto da 200mila operatori e 286 Consorzi di tutela dei comparti cibo  E’ l’analisi del XIX Rapporto Ismea- Qualivita sul settore italiano dei prodotti DOP IGP  nel 2020  presentato lunedi 14 febbraio a Roma alla presenza del ministro dell’Agricoltura Stefano Pattuanelli che ha detto” DOP IGP componente fondamentale del made in Italy, pronti a sostenerli nelle sfide europee e in ambito PNRR Risultati resi possibili dall’impegno di tutto il sistema con azioni di solidarietà, attività di sostegno agli operatori, accordi con i soggetti del mercato e un continuo dialogo con le istituzioni che, riconoscendo la valenza strategica del settore, hanno supportato attraverso apposite misure la continuità produttiva delle filiere DOP IGP, capaci di esprimere un patrimonio economico dei territori italiani per sua natura non delocalizzabile. La Dop ecconomy quindi funziona nonostante la frenata pandemica che ha intralciato anni in cui l ‘Italia è stata leader

Sul suolo italico centro-settentrionale, tra i primi a coltivare il vino furono gli Etruschi mentre al Sud i colonizzatori Greci della Magna Graecia  diffondevano l’uso della vitis vinifera lungo il bacino del Mare Nostrum. I Romani raffinarono le tecniche di produzioni: introdussero l’uso delle botti e diramarono le coltivazioni enologiche soprattutto dopo le vittorie nel periodo repubblicano su Sanniti e Punici. Questi ultimi si dice avessero scritto il più antico e prezioso trattato sul vino in lingua punica che si attribuisce al cartaginese Magone. Questo testo verrà tradotto in latino per volere del Senato dopo la distruzione di Chartago (146 a.C.). Una delle poche testimonianze che fu sottratta all’oblio dopo la sconfitta della città, quasi l’unica cosa che i Romani reputarono degna di sopravvivere nella terribile distruzione che seguì la terza guerra punica fu, insomma, proprio questo trattato che sarebbe ben presto diventato una delle maggiori fonti di materia vinicola per la cultura occidentale. Nel II secolo a. C. -nello stesso anno in cui secondo Plinio la produzione di vini in Italia non aveva eguali in altri paesi- viene contabilizzato un incremento di esportazioni in terra gallica. È l’epoca in cui si registra la prima legge proibizionistica di epoca repubblicana perché il Senato proibisce la

Basta guardarsi attorno e lo sconsolante deserto in cui versano bar, ristoranti, alberghi da solo indica le difficoltà del settore  che dopo la bella ripresa del 2021, grazie all’export che nei primi 10 mesi ha toccato i 5,82 miliardi di euro, secondo gli ultimi dati Istat, fa notizia in negativo. Si perché molto congiura  :dalla quarta ondata che ha impaurito e impaurisce  milioni di italiani,  alla crescita del costo dei trasporti e in generale di tutte le materie prime che certo non fa sconti alla filiera del vino , alla battuta di arresto per Gdo cui afferiscono non meno almeno del 20% delle cantine di media dimensione e l’ Horeca ai mercati esteri. Salva  la richiesta di agevolazioni creditizie e strumenti finanziari più flessibili? Forse, ma non sarebbe la soluzione visto che gli imprenditori del vino che vendono nei ristoranti, wine-bar e alberghi,  sono affogati da fatture non scontate e non vedono che il prolungarsi di una battuta d’arresto ormai stagnante, a coloro che hanno scelto come canale di vendita prioritario la grande distribuzione  i cui prezzi sono da tempo bloccati all’origine  a coloro che hanno prediletto il mercato estero come i paesi extra UE , gravato da costi quintupicato per il solo trasporto marittimo.

Se è vero- come confermato da numerosi studi internazionali che  il consumo moderato di alcol risulta essere più protettivo per la salute rispetto agli astemi, le nuove tendenze  in fatto di consumi di vino indicano un calo a livello globale del 3%.  Una protezione  che riguarda non solo le malattie  cardiovascolari e più in generale  le malattie metaboliche-diabete mellito in testa-  ma anche la mortalità per tutte le cause che risulta inferiore per chi beve ai pasti il famoso bicchiere di vino al giorno per le donne, due per gli  uomini.  Trend in ascesa per la domanda di prodotti analcolici e a basso contenuto di alcol    confermato dai giovani ma anche e soprattutto dai non più giovanissimi almeno in Inghilterra come detto da  Wine Intelligence che  indica nel 56% dei wine drinker  costituito dagli over 55 (con ben il 36% di over 65, in crescita di 14 punti percentuali negli ultimi 10 anni) e solo il 15% è under 34 (la fascia 18-24 anni non va oltre il 5%). Complice la pandemia visto che tradizionalmente i consumi di vino in Uk sono legati a convivialità in molti luoghi dai centri commerciali ai pub ai ristoranti. Entra in gioco e

Si tratta del più antico vino naturale del belpaese. D’altro canto, è innegabile che il fascino di questo prodotto caloroso, a tratti casalingo, risieda proprio in quelle imperfezioni che spesso lo caratterizzano e che lo rendono quasi imprevedibile nei suoi sviluppi. Altrettanto certo è che il suo processo di produzione non sia stato influenzato dell’enologia moderna, tant’è che ancora oggi lo si ottiene alla maniera degli “avi“, ovvero lasciando le uve appassire naturalmente su penzoli, fermentando il mosto spontaneamente e imbottigliando a conclusione del lungo invecchiamento senza ricorrere né a chiarifiche, né ad aggiunte di solfiti. Questo approccio non interventista è perfettamente in linea con l’identità tradizional-popolare di questo nettare casereccio, non di rado vinificato in maniera amatoriale con uve acquistate, e del quale molte famiglie Chiantigiane tengono in cantina un caratello o una damigiana da cui spillare piccoli dosi in base alle necessità. Usanza diffusa è consumarlo nelle festività, motivo per il quale in molti sostengono che il nome derivi dai giorni “santi” come appunto il Natale.  Altra ipotesi assai curiosa è quella che vede nelle sue presunte proprietà curative l’origine dell’appellativo “santo”, mentre più concreta, ma non meno fascinosa, è quella secondo la quale sarebbero stati i Veneziani ad

Un mito da sfatare: dessert e vino secco come lo spumante. Il criterio di abbinamento che permette a un cibo dolce di esaltare il sapore e le qualità di un vino (e viceversa) avviene per concordanza come ci ha trasmesso il grande Veronelli citando i migliori “Matrimoni d’Amore vino  e cibo  Questi si combinano fra loro per creare armonia, senza prevalere l’uno sull’altro, ma per assecondare il gusto con le stesse caratteristiche.” Per Natale allora proponiamo un prodotto immancabile sulle nostre tavole: il Panettone. “…L’inventore del Panettone, sarebbe un tale Toni, aiutante nella cucina di Ludovico il Moro durante il Medioevo. La storia narra che alla vigilia di un Natale, il capocuoco degli Sforza bruciò il dolce preparato per il banchetto ducale; allora Toni, sacrificando il suo lievito madre, lavorò l’impasto con farina, uova, zucchero, uvetta e canditi per un risultato così soffice che Ludovico il Moro intitolò questo omaggio “Pan de Toni” in onore del creatore. Fino ai primi del Novecento veniva infornato senza alcuno stampo, la forma attuale del Panettone fu definita negli anni ‘20 da Angelo Motta, ispirato aldolce pasquale “kulic” della tradizione ortodossa, quindi aggiunse del burro e lo avvolse nella carta paglia…” L’abbinamento ideale con il Panettone è lo Spumante Moscato Giallo

Da sempre ispirazione e fonte di grandi capolavori il vino è diventato  il grande protagonista delle etichette. Ma è recente   vedere la superficie di una bottiglia di vetro come supporto artistico, che aumenta il valore del prodotto grazie al suo messaggio   tanto da diventare sponsor de vino. Già gli antichi Egizi usavano apporre sulle anfore, dopo la loro sigillatura con fango e argilla, l’iscrizione che ne descriveva contenuto, provenienza, annata e nome del produttore .Si deve però aspettare la fine del Seicento, con l’introduzione della bottiglia di vetro e del tappo in sughero e in seguito all’invenzione della litografia, per veder comparire prima una pergamena apposta al collo della bottiglia, introdotta dal monaco Pierre Pérignon, seguita poi nel 1840 da vere e proprie etichette illustrate applicate allo champagne della Maison de Venoge. In Italia, a fine Settecento in Piemonte e Sicilia compaiono le prime bottiglie contrassegnate da cartigli descrittivi del prodotto, con immagini araldiche e riproduzione dei riconoscimentiNel 1945 il Barone Philippe de Rothschild decide di celebrare la liberazione e di dedicare il suo vino all’Année de la Victorie, commissionando a Philippe Jullian un’immagine simbolica con la “V” della vittoria. Da quel momento il premiere cru affida ininterrottamente la propria veste grafica a pittori contemporanei.

Sotto il nome del più famoso medico dell’antichità, al quale si deve anche il celebre giuramento, Ippocrate (460-377 a. C.), ci è stata tramandata una serie di scritti che, passati nel mondo latino (taluni con incerta attribuzione), compongono il cosiddetto Corpus Hippocraticum. L’autore si occupò degli effetti del vino da un punto di vista strettamente fisiologico, senza alcun riferimento ai vini di questa o di quella zona, a quelli più o meno apprezzati e più o meno celebri, ma “al vino in sé”; dunque, anche se il suo  trattare del vino in generale può prestare il fianco a qualche critica, il suo pensiero, che ha avuto un’influenza plurisecolare, sembra l’ideale per introdurre una ricerca “sul vino”. Infatti, se è vero che come affermava Hegel, di notte tutte le vacche sono nere, così, pur non potendo certo sostenere che tutti i vini sono uguali, dobbiamo cercare di cogliere anche le caratteristiche salutari presenti in tutti i vini e saperle sfruttare al meglio per la nostra salute. Del resto il medico non intendeva scrivere un trattato di enologia, ma di medicina.  Un primo accenno interessante di Ippocrate alle caratteristiche mediche dei vini lo troviamo in un passo del  Trattato della dieta salubre, 12:  “Quelli

Una delle prime leggi sul vino dell’età imperiale è sicuramente quella di Domiziano degli anni 90 Anno Domini, interessante esempio legislativo che codificava la illegittimità della coltivazione dei vitigni. L’imperatore, rimasto tristemente famoso per aver ordinato l’uccisione dei Cristiani -tra cui quella di Simeone, che secondo Eusebio di Cesarea era cugino di Cristo- promosse un’ondata di terrore meglio nota come la seconda persecuzione dei Cristiani, dopo quella di Nerone. Non è un caso se proprio in questo periodo turbolento ai primi Cristiani si domandava la prova del fuoco: bruciare le effigi e sacrificare in nome dell’imperatore, rito emblematico nello scontro tra il decadente paganesimo e la nascita del primo cristianesimo. In questo contesto per tanti aspetti violento va inserito il tentativo di Domiziano di vietare la coltivazione del vino. Con l’ultimo dei Flavi arrivò il tempo in cui il vino fu bandito in tutto il mondo occidentale, l’editto imperiale vietava la coltivazione dei vitigni in Italia; l’ordine era di sradicare metà dei vitigni in Asia Minore e in altre province. Ce lo racconta Svetonio (Vita di Domiziano, VII) “ Essendo stato un anno grandissima abbondanza di vino, e molta carestia di grano, stimando ciò avvenire perché mettendosi troppa diligenza nelle vigne si

Bucci Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore 2018 – Cantina Villa Bucci La viticoltura marchigiana è sempre stata una produzione molto autoctona, legata al consumo famigliare e locale. Oggi sono 18.000 ettari per il 70% Docg-Doc-Igt con una biodiversità di 100 vitigni, dal Sangiovese al Montepulciano, dal Trebbiano al Verdicchio, ma anche Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon, per ottenere il Rosso Piceno, il Conero, il Lacrima di Morro, il Serrapetrona, l’Offida, due Verdicchio di Jesi e Matelica. La Cantina di Ampelio Bucci,  Villa Bucci, è situata a Ostra Vetere, a pochi chilometri da Senigallia, 30 ettari di terra di vigne ben esposte, coltivate e allevate con la pratica dell’agricoltura biologica certificata. Storica azienda che ha contribuito allo sviluppo di tutta la viticoltura di Jesi negli ultimi 40 anni, dal Sangiovese al Montepulciano, ma  soprattutto del Verdicchio. Il Verdicchio Castelli di Jesi Doc Classico Superiore 2018 Biologico è ottenuto dalle sole uve di Verdicchio, viti di 40-45 anni nella vigna di Montecarotto, a media collina sul mare, esposto verso levante, su terreno argilloso, ricco di calcare grossolano, con una struttura non pesante e friabile. Uve pressate leggere, fermentazione lenta e controllata sulla bucce, vinificazione completa compreso il lungo affinamento svolta solo