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Rubrica di Emanuela Medi
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Degustazioni

Dal 26 al 28 luglio si è svolta la manifestazione Terre del Grechetto presso Civitella d’Agliano nell'alta Tuscia, arrivata alla XVII edizione grazie a Carlo Zucchetti organizzatore dell’evento. La manifestazione ha visto una grande partecipazione a tutti gli eventi organizzati da parte di conoscitori e non del mondo del vino. L’interpretazione del vitigno Grechetto in tutte le sue variazioni clonali e territoriali è stata la tematica principale: l’evento si è posto l’obiettivo di comunicare e propriamente valorizzare questo vitigno storico, tipico del Centro Italia, grazie a banchi di assaggio, visite guidate nelle zone storiche culturali della zona, stand enogastronomici e musica sotto le stelle.  Un evento garbato di musica, cultura, profumi e sapori, a cui non mancare per le successive edizioni. Prendendo parte alla degustazione di sabato riservata a giornalisti e operatori, gestita e organizzata da Carlo Zucchetti ho degustato per Vinosano.com differenti interpretazioni del vitigno Grechetto declinato come bianco spumantizzato, fermo e passito in 11 batterie. Una piacevole degustazione, ben organizzata, sostenuta ed educativa che ha condotto i presenti a scoprire le tante sfaccettature di questo vitigno. I territori rappresentati dalla degustazione sono stati molteplici divisi in tre regioni Lazio, Umbria, Emilia Romagna. Durante la degustazione ho selezionato per Vinosano 10

Lo avevamo detto l’anno scorso e lo ribadiamo quest’anno: il Taurasi è senz’ombra di dubbio il vino più folle, più anarchico del belpaese. Non esiste una ricetta per produrlo: non ci sono regole, né correnti di pensiero, nemmeno un’ annata di riferimento. Ogni bottiglia è una sorpresa, ogni azienda un cosmo a sé stante; ogni comune, ogni contrada, ogni pezzo di terra ha una storia diversa da raccontare. Una sola cosa è certa: se è vero che i vini “affinati” sono quelli che patiranno meno questa crisi, allora i produttori di questo forastico Aglianico di montagna possono dormire sonni tranquilli. L’unica caratteristica che li accomuna è, infatti, una pazienza quasi arcaica. In questo mondo del vino frenetico, di cui solo la pandemia è riuscita a frenare la corsa, i viticoltori taurasini sono tra i pochi che non si affrettano a commercializzare le nuove annate non appena il disciplinare lo consente. A dire il vero, non sembra proprio importargli quanto tempo debba passare: quello che conta, nella loro ottica, è che il vino esca fuori dalla cantina già pronto per essere goduto appieno.A Ciak Irpinia 2019, il prof. Luigi Moio - deus ex machina di alcuni dei campioni del territorio -

Il borgo toscano di Pitigliano sito a 313 metri sul livello del mare sorge su un promontorio tufaceo circondato da verdi vallate di estrema bellezza; secondo una leggenda, la fondazione della città sarebbe dovuta a due romani: Petilio e Celiano; dalla fusione dei loro nomi sarebbe derivato Pitigliano. Entrando in città si oltrepassano gli archi dell’Acquedotto Mediceo, imponente costruzione edificata dai Medici per l’approvvigionamento idrico degli abitanti. Il borgo ha più di sessanta vicoli tra cui le Vie sacre scavate nel tufo dagli etruschi per ricavare sbocchi di comunicazione e luoghi di culto. Le abitazioni conservano ancora i caratteristici stemmi gentilizi e le cornici di travertino alle finestre. Nel sottosuolo del paese si aprono gallerie con pareti alte anche venti metri e lunghe circa un chilometro, rifugio per la comunità ebraica fino al ‘400; Pitigliano viene definita infatti la “Piccola Gerusalemme”, oggi permangono cantine e macellerie Kasher; visitabili il museo ebraico e la Sinagoga. Non lontano da qui Domenico Pichini, pitiglianese di nascita nei primi anni ’90 apre il suo ristorante il “Tufo Allegro”, dove all’interno sono visibili le caratteristiche pareti in roccia. Con grande attenzione alla provenienza e la stagionalità delle materie prime lo chef ripropone ricette tipiche maremmane con delle

Siamo da poco entrati nella stagione dell’estate dove le giornate si fanno più calde, i preparativi per le vacanze sono agli “sgoccioli” e per qualcuno è già tempo di mettere in moto la macchina e partire per quelle destinazioni che, si spera, saranno capaci di regalare momenti di riposo e di serenità. Almeno questo è quello che si aspettano le persone che hanno deciso di trascorrere l’estate altrove o possono concedersi un periodo di vacanza fuori dalla città e dalla routine quotidiana. E per quelli che restano e resistono alla calicola urbana?

Funambolico, polimorfico, cerebrale e aristocratico. Il Greco di Tufo non ha l’avvenenza, l’estro da rockstar del fratello Fiano, ma riesce ad interpretare l’annata , il “genius loci” e la personalità del produttore in maniera ancor più precisa e coerente. Funambolico lo è per via dei suoi equilibri precari: lo si vendemmia in anticipo e si ottiene un vino aspro; lo si lascia in vigna qualche mattinata in più e - ammettendo che gli acini non vengano danneggiati da qualche scroscio improvviso - si rischia di dar vita un vino seduto, pesante, sovrabbondante. Cerebrale e aristocratico perché, per apprezzarlo fino in fondo, bisogna conoscerlo, sapere com’è stata l’annata e quali sono le caratteristiche del vigneto da cui proviene. Altrimenti si rischia di non comprenderlo, soprattutto se è figlio d’annate bizzarre come le ultime due. I millesimiDifficile trovare annate più diverse e contrastanti di quelle di quest’ultimo biennio. Gli unici denominatori comuni del ‘18 e ‘19 sono stati l’andamento altalenante e la piovosità quasi monsonica nel periodo primaverile. Per il resto, le stagioni hanno offerto condizioni diametralmente opposte, ma chi ha saputo far fronte alle avversità - troppa pioggia, umidità, vigoria produttiva nella ‘18, sbalzi climatici, qualche grandinata e maturazione disomogenea nella ‘19

“Il profilo che tracciamo di questa regione è quantomeno preoccupante. Ci sono ancora molti problemi basilari; infatti alcune non riescono ancora a ottenere una regolare erogazione di alcuni fondamentali servizi. (…) Sembra assurdo possibile che possano succedere ancora episodi simili in un paese come l’Italia che è fra i più industrializzati del mondo. (…) La strada da percorrere è ancora molto lunga per ottenere il recupero di un’enologia di una regione nella quale, come in molte altre, si è per lungo pensato più alla quantità che alla qualità” Stefano Di Marzio, Presidente del Consorzio Tutela Vini d'Irpinia Queste parole, che introducono la sezione Campania della guida vini d’Italia 1989, rappresentano, alla luce dello stato attuale del comparto regionale, la prova tangibile del miracolo che prima i viticoltori irpini, e poi quelli di tutte le altre zone della regione, hanno compiuto nell’arco di poco più di trent’anni. Sapevamo che avremmo dovuto citarle, perché aiutano a capire quanta strada sia stata fatta in così poco tempo. Ci è sembrato opportuno utilizzarle per introdurre il vino simbolo di questa rinascita: il Fiano di Avellino.In quella guida di Fiano di Avellino ne erano presenti solo due: il Vignadora ‘87 di Mastroberardino, azienda definita come “una cattedrale

La Campania è una terra ricca di storia, tradizioni e scenari incantevoli come la Costiera Amalfitana, Napoli con il suo fascino controverso ma indiscusso e le isole del Golfo: Capri, Ischia e Procida, veri capolavori della natura. Per non parlare delle prelibatezze enogastronomiche di tutto il territorio: prodotti di mare, verdure e piatti tipici come la Pizza e le deliziose mozzarelle di bufala. Vero monumento di questa imponente terra è il Vesuvio, amato per la sua bellezza e temuto per la sua potenza. Qui l’opera dell’uomo è stata grandiosa, come nelle zone più impervie della regione, oggi trasformate in terrazzamenti digradanti verso il mare, utilizzati per coltivare agrumi, ulivi e viti.  Gli Angeli Matti di Ischia: Casa d’Ambra La storia di Casa d’Ambra dura da oltre 100 anni e inizia da nonno Francesco detto “Don Ciccio”, classe 1863 nell’antica sede di Villa Garavini. Oggi tra gli "angeli matti" termine coniato dai giornalisti per indicare la difficoltà della viticoltura nell’Isola, alla guida di Casa d’Ambra c’è la terza generazione con l’enologo Andrea D'Ambra. La cantina è un anfiteatro naturale di 3500 mq incastonato nelle pendici del Monte Epomeo e dal 1988 l’azienda con passione e tenacia punta ai vitigni locali: biancolella, forastera, uvarilla, piedirosso e guarnaccia. I vigneti di

La cantina Sartarelli  è collocata  nell’entroterra anconetano a Poggio San Marcello. Nasce nel 1972 ed è stata una delle poche aziende vinicole italiane con una produzione esclusivamente mono-varietale, in questo caso il Verdicchio; gli approfondimenti dimostrano la presenza di ben 32 cloni differenti sui 55 ettari di terreno aziendali. Il subentro della nuova generazione ha permesso il perseguimento della qualità a basso impatto ambientale, per una produzione annuale di circa 300.000 btg. Caterina Sartarelli ci comunica, assieme al fratello enologo Tommaso, come la vendemmia 2019 abbia finalmente inaugurato “Sartarelli Zero”: un progetto di lotta integrata certificato da RINA AGROQ (Certificato N. AG/PRD/20/97) che si basa su induttori di resistenza al fine di realizzare un prodotto del tutto naturale. Arrivano anche meritati riconoscimenti per l’azienda,iIl giornalista Micheal Garner per le guida Decanter premia con 94 punti: Sartarelli Classico 2018 Verdicchio 100% Alc 13% Vigneto di 31 ha con età delle viti di 15 anni circa; terreno di medio impasto calcareo ad altitudine di 300-350 m s.l.m. esposto ad Est, Sud, Sud-Ovest. Spremitura soffice dei grappoli e successiva fermentazione in acciaio a temperatura controllata; circa 20.000 bottiglie prodotte. Giallo paglierino con riflessi ancora verdognoli mostra note di pesca bianca, sambuco e biancospino. Il sorso è vivace e morbido dai ricordi timo

Cominciamo il racconto della nostra Anteprima irpina a distanza da un vino considerato "minore": l’Aglianico DOC. Avevamo chiesto al consorzio di includerne qualche bottiglia tra i campioni destinati a questa iniziativa. Non immaginavamo che ne avremmo ricevuti ben ventidue, ovvero più di quanti ne avessimo mai degustati in precedenza. https://youtu.be/LqVwo9tsyzE Al netto di questa carrellata di assaggi, che ci ha permesso di approfondire una tipologia poco conosciuta al di fuori dei confini regionali, possiamo dire di aver individuato tre categorie nelle quali ricadono quasi tutti gli Irpinia Aglianico e Irpinia Campi Taurasini:⁃ Categoria 1: Vini “spensierati”. Appartengono in larga parte ai millesimi 2017 e 2018 e in qualche caso provengono da vigneti fuori DOCG. Trascorrono un brevissimo periodo in botte, acciaio o cemento prima di andare in bottiglia a pochi mesi dalla vendemmia. Le migliori versioni coniugano fragranze fruttate, sfumature vinose e tratti varietali di erbe e di spezie. Sono vini schietti e scorrevoli; catturano il lato più soave di questo vitigno "virile" e si abbinano al cibo con estrema facilità. Peccato che si tratti ancora di una minoranza

Antonio Caggiano - Tauri 2018. Potevamo mettere in evidenza il Salae Domini, ovvero il Campi Taurasini da singola vigna di questo produttore iconico, ma ci è sembrato ancor più compiuto questo fratellino minore che, utilizzando un tecnicismo aulico, potremmo definire come “vino da bere a secchiate”. L’olfatto soavissimo evoca ricordi di china, cola, rosa selvatica, mirtilli rossi e melagrana; il sapore offre tutto quello che si può desiderare da un Aglianico “giovane”: tannini leggiadri, acidità salivante, ritorni di pepe, fiori freschi e visciola croccante. È un caposaldo della categoria 1. 90 Cantina dei Monaci - Santa Lucia 2017. Profondo di sottobosco, tabacco Kentucky, boero. Caldo e possente al palato: sfodera tannini rigorosi, austeri a supporto della ricca componente fruttata. Chiude leggermente astringente. 88 Cantine di Marzo – Irpinia Aglianico 2017. Scuro, fumoso. Ha bisogno d’aria per distendersi e concedere aromi più affabili di erbe officinali e piccoli frutti neri. Più immediato è il palato succoso, carnoso di visciola e scandito da tannini leggermente scorbutici. Da aspettare. 86+ Claudio Quarta - Irpinia Aglianico 2018. Profumi classici di ruggine, ribes nero, erbe aromatiche e una traccia affumicata. Buona reattività al palato, alcol integrato, equilibrio tra frutto e tannino scalpitante e un finale coerente su toni